Accabadora
- Autore: Michela Murgia
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2009
- “Accabadora” è il libro vincitore del Premio Campiello 2010
La nuova letteratura proveniente dalla Sardegna, scritta in un italiano che risente molto della radice originale con le sue diverse origini, vanta una serie di scrittori ormai celebri, come Mannuzzu, Fois, Niffoi, Soriga e qualche voce femminile, tra cui Milena Agus e ora Michela Murgia, nata nel ’72.
Il suo romanzo, dal titolo “Accabadora” derivato dallo spagnolo acabar (finire), è emotivamente forte e mette in stretto rapporto la modernità/attualità di relazioni e sentimenti con le tradizioni ancestrali di una terra, un’isola, che sembra ancora mantenere intatte usanze arcaiche e superstizioni antiche che sopravvivono ad ogni forma di progresso.
La vecchia tzia Bonaria Urrai prende con sé la piccola Maria, di appena sei anni, quarta figlia di una vedova che non può mantenerla e che se ne libera con disinvolta leggerezza. Fillus de anima viene chiamato il bambino che ha due madri, quella naturale e quella adottiva, in un processo destinato ad avvenire senza traumi, ma nel caso di Maria le cose si complicano: il rapporto con la nuova figura materna è inquietante e misteriosa appare alla bambina, presto adolescente, la vita della donna, le sue uscite notturne, la sua durezza. Un evento terribile, di cui Maria scopre essere Bonaria la protagonista, divide definitivamente le due donne. La ragazza, aiutata dalla sua maestra, fugge in continente e trova impiego come bambinaia presso una ricca famiglia torinese. Ma, anche lì, l’ombra di tzia Bonaria la insegue, costringendo Maria a tornare a casa per fare definitivamente i conti con un mistero irrisolto e per ricostruire il rapporto interrotto con la figura della madre adottiva.
Le pagine della Murgia sono intense e molto incisive nel costruire atmosfere al limite tra la realtà ed un limbo senza tempo, dove antiche leggende ed usanze rimaste invariate da secoli convivono con la contemporaneità. L’uso di una lingua piena di forme idiomatiche, espressioni dialettali, parole desuete ma molto evocative costituiscono una gran parte del fascino di questo insolito romanzo.
Recensione di Elisabetta Bolondi
L’ultima madre è l’accabadora, colei che aiuta a lasciare la vita perché se si ha bisogno d’aiuto per nascere, lo si ha anche per morire. Questa è la filosofia dell’anziana che esce di notte avvolta nello scialle nero sullo sfondo di una Sardegna degli anni Cinquanta dove ancora valgono leggi non scritte, che esulano da quelle previste dai codici sanciti. "Accabadora" di Michela Murgia è un dipinto dove le parole oltrepassando il loro valore semantico per diventare colori e tratti di pennello, risvegliando immagini e sensazioni. Non è un libro che si legge, è un libro dove si entra e quasi si partecipa di soppiato, dove lo stupore non ti permette più di lasciare la scena sino all’ultima pagina. E anche una volta chiuso il libro, la mente ritorna a quel film perché quel che il romanzo è riuscito a seminare dentro difficilmente si dissolve. Quando si è vissuti per 169 pagine insieme all’ingenuità di una bambina e al suo trasformarsi in donna consapevole del lutto e del dolore, insieme ad una vecchia che porta la morte nelle case con la consapevolezza di compiere un gesto d’amore utile prima di tutto al sofferente e poi alla famiglia e all’intera comunità, quando si è conosciuto un mondo inimmaginabile, di cui non si aveva notizia prima di posare gli occhi su quelle pagine, non si può più tornare indietro. L’abbacadora diventa, allora, una presenza interiore fatta di mille interrogativi, di nessuna certezza se non quella d’aver preso una profonda coscienza della sofferenza, della fine, della pietà.
Recensione di Tosca Pagliari, scrittrice
Accabadora
Amazon.it: 11,40 €
© Riproduzione riservata SoloLibri.net
Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Accabadora
Lascia il tuo commento
Recensione utile, come tutte quelle della Bolondi!
Un appunto: Accabadora è una parola che deriva si dallo spagnolo, ma ovvimaente, in questo romanzo fa riferimento al suo uso "sardo" (nella lingua sarda rimangono tante parole dello spagnolo, lingua ufficiale della regione che ha fatto parte del Regno di Spagna fino al 1600 dc) dove quindi accabbadora è quindi un aggettivo riferito ad una delle protagoniste del romazo, "colei che finisce, che porta la fine" quindi anche, che uccide.
Grazie del commento!
Accabadora, dallo spagnolo acabar fino al sardo aggabbare.
La donna che finisce, che porta a termine. L’accabadora è una donna secca, dall’aria dura e austera, poche parole dentro una sensibilità soffocata che la porta ad innamorarsi della bambina vista per la prima volta nel negozio del fruttivendolo mentre ruba le ciliegie.
Maria diventerà la sua “fill’e anima”, la strapperà ad una madre misera oltre che di sostanze anche di sentimento; le insegnerà il valore della scuola, la farà crescere in modo differente.
Insieme passeggeranno per le strade mentre qualcuno oserà bisbigliare parole a mezza voce perché c’è qualcosa che non torna, qualcosa che aldilà di quella adozione che a quel tempo è pratica consueta c’è qualcos’altro che non è stato detto. E Maria se lo chiede, se lo chiede sempre più spesso da quando ha scoperto i ritorni di sua madre all’alba, così all’improvviso, senza una spiegazione; in fondo è grata a quella donna e poi sulla fiducia non si può avere dubbi, le bugie non si dicono, è stata lei ad insegnarglielo.
Poi il giorno dopo la notte dei morti un segreto inconfessabile dopo un lutto inaspettato, uno spiffero rivelato tra le lacrime da chi ha visto troppo. Andria, migliore amico ed aspirante spasimante le chiede di sposarlo dopo averle rilevato qualcosa che Maria forsesapeva da sempre.
Impaurita ed inadeguata, nonostante forza e coraggio da amazzone, Maria parte, inizia una nuova parentesi nel continente, passione e rischio si intrecciano nel suo umile lavoro di bambinaia, poi ritorna, una lettera la avvisa che deve ritornare a casa, deve chiudere il cerchio aperto quando le vite, sua e dell’accabadora, si sono incrociate.
"De custa aba non vio". E invece c’è qualcosa che la porta a rinnegare le sue convinzioni, cadute dalla compassione e dall’amore verso il prossimo.
Il mestiere, la figura dell’accabadora non è quella di un’assassina, no. Il confine è distante, è per troppo amore che si mette in atto un’eutanasia, non per cinismo, non per sopravvalutazione di sé stessi.
Maria lo capisce alla fine con quel cuscino in mano, con l’idea che in fondo lei e la sua seconda madre siano sempre state legate dallo stesso filo.
Bene. Il romanzo in fondo è ben riuscito, è discreto ed elegante, belle metafore, un senso importante, si è aggiudicato con merito il premio Campiello non appena è uscito.
Ma c’è qualcosa che proprio lascia perplessi nel leggere gli scrittori sardi tanto in auge.
Quell’ombra della Deledda di cui sembra non ci si riesca a liberare. Quella ostinazione a voler utilizzare i suoi stessi personaggi per voler definire i contorni della terra sarda, meglio se dell’interno. Quel mettere da parte ogni forma di ironia a vantaggio di una narrazione austera e senza spiragli. Che premia senz’altro, ma sarebbe interessante per una volta parlare di sardi e di Sardegna in un altro modo.
Accabadora Michela Murgia.
Una piacevole scoperta,questo primo romanzo di Michela Murgia... Giovane scrittrice sarda,nasce a Cabras nel 1972. Nel 2006esordisce con " Il mondo deve sapere", un diario in chiave tragicomica di un mese di lavoro di una centralinista,dal quale è tratto il film di Paolo Virzì ,"Tutta la vita davanti." Ha pubblicato nel 2008" Viaggio in Sardegna", undici percorsi nell’isola che non si vede, nel 2009 il romanzo" Accabadora,", e nel 2011 Ave Mary. Il libro vince il prestigioso premio Campiello 2010,e devo dire che conquista il lettore dalla prime pagine trascinandolo in un mondo sconosciuto,quello di un paesino dell’entroterra sarda.La parola "Accabadora"è un termine non molto conosciuto,che deriva dallo spagnolo "acabar"che significa finire,e nella lingua sarda ha il delicato significato di "colei che finisce"in una sorta di dolce e condivisa eutanasia.Maria,è una bambina,quarta femmina di una madre vedova,figura forte e scaltra,che cresce con il peso di essere l’ultima,quasi un peso da sostenere forzatamente.Decisivo l’incontro casuale in un piccolo negozio con la figura di Tzia Bonaria Urrai,anziana vedova di "guerra",di professione sarta,che acuta osservatrice sorprende la piccola Maria a compiere un piccolo furto di ciliegie,una manciata nascosta in una candida tasca ricamata,un tentativo maldestro di attirare l’attenzione sul suo essere,e per la sarta,l’idea di proporre alla madre uno scambio.. L’anziana sarta offre a Maria casa e futuro,facendone la sua "fill’e anima,dandole la possibilità di condurre una vita nuova,pur non distaccandosi completamente da quella di origine, mentre la madre si ritrova sollevata dal peso di una figlia e l’orgoglio di averne prima o poi un tornaconto sostanzioso.Maria e la zia si ritrovano a vivere insieme,e si instaura un legame forte e sincero,che si lacera quando la ragazza scopre il rito segreto che la vecchia compie aiutando a morire chi langue sofferente,ma trattandosi del fratello del suo amico Andrei,la ragazza ne rimane sconvolta,e inorridita scappa a Torino,dove trova lavoro come bambinaia.Nonostante la lontananza, Maria sente il richiamo della sua terra,degli anni trascorsi con la vecchia,e non esita a farvi ritorno,anche per sfuggire a una storia d’amore che stava nascendo con il giovane figlio di suoi datori di lavoro.Maria ritorna a casa,e sarà lei ad assistere tzia Bonaria a compiere l’ultimo viaggio,dopo avere avuto il perdono silenzioso per la morte di Nicola. Ho trovato questo libro incantevole....ricco di figure femminili forti..e lo consiglio vivamente....
Lucia.
L’accabadora è l’ultima madre. È colei che, spinta dall’amore, accoglie le anime nell’ora estrema, porgendo loro una carezza e facendo proprio il loro ultimo sospiro.
L’accabadora è una Tzia, un’anziana donna di un paesino sardo, dedito a tacciare o meno di moralità i suoi abitanti; quel paesino “le cui vie erano emerse dalle case stesse come scarti sartoriali, ritagli, scampoli sbilenchi, ritagliate una per una dagli spazi casualmente sopravvissuti al sorgere irregolare delle abitazioni”.
L’accabadora non è sola. L’altra grande protagonista del romanzo è Maria, la fill’e anima di Tzia Bonaria, la bambina “di troppo” di una famiglia con già troppe bocche intorno al tavolo; la creatura calma e taciturna che aspettava solo che qualcuno di accorgesse di lei.
In questo libro, denso di Sardegna, di tradizioni tramandate, e di sacrificio, Michela Murgia affronta un tema sepolto ma sempre attuale: il potere o la colpa di poter decidere per qualcun altro. La scrittrice lo fa con una capacità narrativa che va oltre la semplice rappresentazione di una realtà, e si inserisce nella ben più complessa interiorità dei protagonisti.
Accabadora è una storia complessa e semplice al tempo stesso, intessuta da insegnamenti, rimproveri e comprensione.
Tzia Bonaria insegna, infatti, attraverso il suo lavoro, quanto sia evidente la necessità di avere un padre e una madre a ogni angolo della strada, che possano aiutarci anche in quei momenti in cui non sembra più necessario alcun aiuto. Maria, dal canto suo, imparerà a proprie spese come sia impossibile dire “no, io di quell’acqua non ne bevo”, e affronterà il dolore e la crescita con mente scevra di ogni pregiudizio.
Una lettura affascinante, dolce e amara, che trascina il lettore nella Sardegna degli anni ’50, tra l’odore di terra e il profumo di mare.