Giù nella valle
- Autore: Paolo Cognetti
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Einaudi
- Anno di pubblicazione: 2023
La Musica può salvare un libro? Avrei voluto porre questo quesito a Paolo Cognetti, recentemente tornato in libreria con il romanzo Giú nella valle (Einaudi, 2023), ma a causa dei tempi piuttosto ristretti all’interno di quel meraviglioso microcosmo che è il Bookcity di Milano, non ne ho avuto la possibilità - così come me sicuramente tanti altri presenti fra il pubblico numeroso all’interno del Teatro Strehler, persone attente e coinvolte che avrebbero desiderato dialogare con lo scrittore.
Durante l’evento sono stati molti e differenti gli aspetti, i temi, le riflessioni e le suggestioni maturati fra le parole di Cognetti, di Daria Bignardi, che con maestria ha saputo moderare l’incontro, e di un partecipe e ispirato Claudio Bisio, che ha dato voce, interpretandoli al meglio, ad alcuni estratti significativi del libro.
Si tratta di un romanzo “sonoro”, fondato sulla musica, perché inevitabilmente riporta a lei: sono pagine musicali, evocative, nitide e dirette, quelle che si leggono, che ricercano e trasmettono i suoni dolci e aspri della Natura, le note ruvide e delicate dell’animo umano, che veicolano quella melodia primordiale, ancestrale, viscerale, a tratti imperscrutabile, che solo il paesaggio circostante sa produrre e infondere.
L’autore ci ha spiegato come l’influsso musicale dell’album Nebraska di Bruce Springsteen sia stato per lui profetico, come lo abbia indotto a visioni suggestive e veritiere nelle quali poter rintracciare tutta la complessità e contraddittorietà umana.
Lo sai cosa vorrei, invece? Un bell’abbraccio da mio fratello. O anche fare a pugni, scegli tu. Ma qualcosa di vero.
Un estratto intenso e significativo. Una dicotomia emblematica, ben rappresentata. Sono tante, infatti, le dicotomie di cui si fa portavoce la storia narrata da Cognetti: si parla di uomo e donna, di maschile e femminile, di padre e figlio, di vita e morte, di nascita e abbandono, di presenza e assenza, di buio e luce, tanto per citarne alcune.
Sono lucidi e indispensabili parallelismi che si intrecciano e si fondono abilmente, in un confronto-scontro, fra le trame narrative delle vite dei tre protagonisti: Luigi, guardia forestale, nato e cresciuto in Valsesia e sposato con Elisabetta, proveniente da Milano e incinta di una bambina, e Alfredo, fratello minore di Luigi, boscaiolo tornato dopo sette anni dal Canada per liberarsi dai legami famigliari.
Era piccola, la sua valle, eppure c’erano ancora posti che non aveva mai visto. Sceso dall’argine, lasciò andare avanti l’uomo e osservò il paesaggio di pioppi e betulle, una conca dove la Sesia faceva un’ansa, tra i banchi di ghiaia modellati dalla corrente. Adesso che era in secca, il fiume si diramava creando isolotti e spiagge. Gli venne in mente che dieci anni prima ci avrebbe portato Elisabetta a fare il bagno, ma per i bagni nel fiume c’era una stagione, nella vita, che poi chissà perché passava. Poi veniva la stagione dei figli, delle case da comprare e ristrutturare, dei vantaggi di un lavoro salariato.
Come si evince dal titolo, il contesto paesaggistico - la valle, non più la montagna - si fa specchio degli umori e dei chiaroscuri degli uomini e degli animali, diventando il nitido riflesso delle due facce - sole e ombra - di una stessa medaglia.
Una valle simbolica, dove il bosco e gli alberi - il larice, l’abete e la betulla -, il fiume Sesia, i cani e i lupi, il bancone di un bar diventano preludi e metafore dell’essenza e del destino di ogni forma di vita.
Sono molti i richiami e gli echi, differenti le atmosfere, le sfaccettature e le implicazioni presenti in questa opera ben congegnata, un humus ricco e fertile dal quale è germogliato un libro profondamente maturo e necessario, potente ed evocativo, la cui prosa lineare e diretta, essenziale e lucida, è destinata a incorniciare la rappresentazione di un mondo oscuro, complesso e contraddittorio che mai come questa volta sa sviscerare, senza cadere in forme di moralismo, le debolezze e le fragilità, le ipocrisie e gli eccessi, i dolori e le sofferenze, i lati più bui dell’uomo.
Luigi la vide pulsare lentissimamente: e nello stato in cui si trovava vide che la foresta era lui, il fuoco era dentro di sé, la neve era il suo matrimonio. Era la pelle bianca di Elisabetta e la pace che gli dava. Poi suo fratello gli raccontò del disgelo, che lassù in Canada non arrivava che in maggio inoltrato. Allora la brace tornava in superficie, nera, umida, in apparenza morta. Ma non era morta. Finché un giorno si alzava il vento della primavera. Fiuu!, fece Fredo, soffiò su di lui e diede fuoco a tutto.
Tornando alla domanda iniziale e fermo restando che si tratta di una suggestione personale, di un qualcosa verso cui sono propensa a credere, ho come l’impressione che sia stata la Musica a infondere maggiore verità e spessore, a suggellare e a “salvare" veramente questo meraviglioso romanzo. Forse, senza di Lei, le pagine che Cognetti ci ha donato non sarebbero state le stesse...
Recensione di Chiara Albertini
Dopo Le otto montagne, mi sono tuffata in quella che è la nuova pubblicazione di Paolo Cognetti, ovvero Giù nella valle (Einaudi, 2023).
Mi aspettavo un libro in grado di catapultarmi nuovamente nel magico mondo montano da me tanto amato e apprezzatissimo anche dall’autore che ne parla sempre con grande cura e attenzione.
Confidavo in una narrazione evocativa, perfettamente in grado di creare un’ambientazione attentamente studiata che accompagnasse una storia di grande spessore emotivo.
Il risultato però non è stato per nulla quello che mi aspettavo.
Il problema principale di Giù nella valle sta tutto raccolto nelle prime pagine.
Il lettore che approda a questo racconto dopo quella splendida narrazione de Le otto montagne si trova a fare i conti con delle aspettative troppo alte che si scontrano con uno stile ben più ruvido.
Il fatto è che la delusione provata nelle prime pagine di questo libro rende poi complicato appassionarsi al resto del proseguo: la delusione si propaga nel corso della lettura attanagliando il lettore in una morsa da cui è impossibile uscire.
Fare paragoni è quasi sempre sbagliato, ma ammetto che forse la disillusione con cui a un certo punto ci si approccia alla lettura fa sì che si giunga a un punto in cui ogni dettaglio inizia ad acquisire un significato.
Certo, il fatto che si arrivi a quel punto dove si inizia a capire dove Cognetti voglia arrivare e come vuole giungere a questo traguardo grazie al fastidio provato da un paragone spontaneo con un’opera di tutt’altro spessore dello stesso autore non è una scusante.
La verità è che questo libro parte davvero male. E non c’è nulla che possa cambiare questa sensazione.
Una costante nella scrittura di Paolo Cognetti, insieme alla maestria con cui le montagne vengono descritte e prendono vita, sono le donne. I personaggi femminili sono da sempre un tallone d’Achille per lui: banali, mai davvero vive e vivide, statiche e nebulose, scarne nei gesti e nei caratteri, intangibili come personaggi quasi fossero presenti per dovere piuttosto che per reale rilevanza.
Le trovo oggettivamente “brutte”. Non hanno lo spessore di protagonisti a tutto tondo, sono sempre messe lì perché in qualche modo utili a ricoprire un ruolo marginale che spetta loro in quanto personaggi femminili. Odiosamente sbiadite, sono sistemate a ricoprire il tassello che spetta loro ma non riescono mai a catturare l’attenzione del lettore, non gli è mai permesso di essere davvero importanti nell’economia di un racconto.
L’arma di Cognetti è la montagna. È quando parla dei monti, delle Alpi, che l’autore dà il meglio di sé. Si riesce a percepire l’emozione che quest’ambiente gli suscita e quanto gli è importante. Non esiste limite alla sensibilità con cui racconta di questi luoghi, nel modo in cui si lascia andare alla sperimentazione nello stile e nei modi. Sono le montagne a raccogliere il testimone dell’autore e a spingere il lettore a vedere la realtà attraverso gli occhi curiosi e devoti di un montanaro.
Assumendo il ruolo lampante di protagonista, la montagna è al tempo stesso ambientazione e personaggio, sempre in una luce calda e accattivante, ma anche potenzialmente cruda e selvaggia, portatrice dei sentimenti più diversi ma tutti comunque di eguale forza.
In definitiva si tratta di un libro che porta in sé grandi ombre e alcuni spiragli di luce, purtroppo paga lo scotto di promettere un grande potenziale risultando così non all’altezza, come fosse una regressione dell’autore invece che un passo avanti in quella sperimentazione intima e profonda verso cui tendono tutte le sue opere.
A uscirne illesa è sempre la montagna, ma gravano sulla trama - a tratti sfilacciata - un’ambientazione talvolta scarna e personaggi a volte scialbi.
Recensione di Beatrice Tibaldini
Giù nella valle
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