Il bambino indaco di Marco Franzoso

Questa non è una storia d’amore. Ne Il bambino indaco di Marco Franzoso (Einaudi, 2012) non c’è spazio per l’amore verso il proprio partner, la propria famiglia, soprattutto verso se stessi. Lo scrittore veneto ha scritto un romanzo sull’abisso di una psicosi, sulla disperazione che si porta dietro e che imperversa come un uragano per poi lasciare solo macerie e lo scrive in modo magistrale.
Poco più di un centinaio di pagine che non ti mollano nemmeno per un attimo, che si insinuano come lo sporco sotto le unghie, quello sporco difficile da lavare via.

Carlo e Isabel si incontrano ad un appuntamento al buio, sono ragazzi maturi che non si aspettano nulla da una cena organizzata da una comune amica per farli conoscere e invece. Si piacciono, vogliono le stesse cose, la loro relazione inizia in modo del tutto naturale. Vanno a vivere insieme, Isabel rimane incinta, decidono di sposarsi. Poi un’ombra nella ragazza inizia a diventare sempre più grande e profonda, nera. L’ossessione per la purezza trabocca dal corpo di Isabel e invade, devasta, ogni cosa, perfino Carlo e il loro matrimonio, il loro bambino. Il tutto in un delirante gioco delle parti, all’interno del quale la vittima designata è proprio il piccolo Pietro, il bambino indaco. Qualcuno, però, deciderà di prendersi le proprie responsabilità di madre, alla fine.
Terribile e veloce come un’infezione, Franzoso ha scritto un libro che lascia il segno, che non si dimentica, che impedisce di prendere subito sonno la sera, si abbia o meno un bambino che piange nella stanza accanto. Se non lo avete ancora fatto, leggetelo.