Agonia
- Autore: Lodovica San Guedoro
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2019
In questa singolare opera, Agonia. Lo strano incidente che capitò a Giulia Berri-Orff in quel tempo lontano di Lodovica San Guedoro (Felix Krull Editore, 2019), ogni capitoletto si chiude con una reticenza, un silenzio, una sospensione che hanno in sé un doppio movimento di fuga e slancio. Giulia, sempre in bilico tra l’angoscia della prevedibilità e la brutalità dell’imprevisto, vive fra le pietre modellate delle quattro città diversamente amate senza aderirvi, senza farsi assorbire, leggera forma d’aria che raccoglie i profumi delle cose, ovvero ciò che sfugge alla gelida pietrificazione imposta dal passare del tempo.
Singolare opera anche per la scelta del titolo: una parola, una sola, spezzata da un accento che fa dello iato un doloroso squarcio. Della lotta assolutamente impari tra vita e morte cui ci riporta la radice etimologica, l’autrice recupera il senso dell’attesa, della solitudine nell’attesa, filo conduttore della vita di Giulia. Separate, solitudine e attesa possono rivelarsi il dono perfetto di una giornata qualunque, insieme, però, possono diventare maledizione se le circostanze, improvvisamente, com’è loro costume, se ne impossessano per introdurvi i loro assurdi stravolgimenti. Ma quanto più la realtà si fa avversa, tanto più Giulia si piega ad attingere dal pozzo inesauribile del sogno e della visione le forze di una non comune tenacia. Resilienza che la accomuna alle creature dei miti, fortunosamente sottrattesi alla violenza di un dio, seppure sempre desiderose di un miracoloso incontro. Dalla splendida madre-sirena ha ereditato la spericolata agilità che la salva e un compito: non lasciare che si spezzi il filo, benché drammaticamente teso, della memoria.
Tutto era iniziato, perciò, mentre giaceva nella vasca da bagno ... e aveva alzato lo sguardo alla bella testolina greca di terracotta, aderente alla parete azzurra, su cui si era stampato un triangolo di sole. Quella piccola testa l’aveva rapita a Siracusa, alcuni anni prima ... in una bottega di souvenirs per turisti. Era una Medusa? Credeva di sì, ma i serpenti intorno al suo volto perfettamente calmo si presentavano in ciocche di capelli, e quelle ciocche sembravano fluttuare come alghe, ogni volta che Giulia la fissava, e poi, fissandola ancora, la testolina prendeva a scivolare attraverso la parete azzurra della finestra come attraverso il mare … E intanto, immancabilmente, lei stessa sprofondava sempre più nell’acqua, e c’era un momento in cui pigliava il largo e, i capelli fluttuanti come alghe, prendeva a scivolare attraverso acque verdazzurre. Come aveva dovuto fare moltissimo tempo prima... Perché quel mare Giulia doveva averlo conosciuto un tempo molto intimamente … Era stata una sirena? Non sapeva. Ma nuotava lontano dalla riva, un giorno, ed era stata sul punto di avere un figlio dal dio Nettuno.
Era un meriggio caldo e assolato, e il mare era deserto. Una nuvoletta candida era ferma nel cielo. Aveva sentito, con tutto il suo essere teso e vigile, che, dalle profondità dei flutti, lui stava per emergere, che stava per prendere forma. E non aveva avuto paura, Giulia, al pensiero di vedere la sua testa lucente e gocciolante curvare a un tratto la superficie liquida, di vedere apparire un uomo verdazzurro. Tale era la sua forza, tale il suo coraggio, che si sentiva pronta a sfidare un dio, a tenergli testa, in quella vastità solitaria, pronta a un evento bello e terribile … Ma poi, per fortuna, lui non era apparso … Sarebbe divenuta, sì, madre di un semidio, ma che sarebbe stato di lei, così giovane e già madre, una volta uscita dal mare e tornata sulla terraferma?
Singolare opera, ancora, per la fascinazione dello straniamento che s’insinua dove più si affolla il presente di Giulia: tutta la ripugnanza che il palcoscenico delle piazze invase da turisti suscita scompare attorno al tavolino di un caffè dove è possibile, finalmente, guardare negli occhi il giovane “dalla voce franca e sonora” e rimanerne ipnoticamente paralizzata. Quegli occhi hanno saputo scorgerla, unica, “nella bolgia di corpi”. A essi Giulia guarda con malriposta riconoscenza. Il tavolino, infatti, si rivela una pericolosa scacchiera dove a giocare sono il caso e la predestinazione. Ed è il loro fronteggiarsi la più penosa delle agonie.
Singolare opera infine per la forma, che ha la qualità di un abito dalle cuciture invisibili e che, con cedevole morbidezza, costituisce essa stessa una lieve, sofferta sutura tra due fondamentali epoche compositive.
AGONIA
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