American Psycho
- Autore: Bret Easton Ellis
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Einaudi
Il primo pensiero che mi viene in mente, una volta finito di leggere "American Psycho" di Bret Easton Ellis, è che non provo né simpatia né alcun sentimento positivo nei confronti di alcun personaggio del romanzo. Anzi: Patrick Bateman, i suoi amici e le sue vittime si fanno odiare tutti. Una galleria di personaggi che speri vivamente siano solo frutto della fantasia dello scrittore, ma in fondo lo sai che non è così. Superficialità, spersonalizzazione, fragilità. Il maschilismo, agito e pensato, la fa da padrone, aiutato dalla presenza di personaggi femminili decisamente imbarazzanti. In ogni caso anche gli uomini non ne escono bene, con la differenza che la critica a loro rivolta è più celata, intellettuale, quindi pericolosa.
Nel romanzo, si narrano momenti di vita anni Ottanta del ventisettenne Patrick Bateman, ovvero ristoranti, lavoro a Wall Street, donne da sedurre, palestra, cocaina, abiti costosi e omicidi brutali. La descrizione maniacale di ogni singolo capo d’abbigliamento firmato indossato dai personaggi è fastidiosa quanto le sanguinose scene di estrema violenza di cui Patrick è protagonista, alla continua ricerca di un’identità, un’integrazione psichica che non trova. I rapporti umani sono inesistenti, tragica conseguenza dell’assenza di una minima messa in discussione personale.
Bret Easton Ellis ha scritto un libro magistrale, intelligentissimo e difficile. Lo stile di scrittura è tagliente quanto i coltelli con cui fa a pezzi le sue vittime su carta. Non sono completamente d’accordo con il giudizio che ne dà Giuseppe Culicchia, suo eccellente traduttore, sul retro della copertina: a mio avviso non è "un romanzo insieme terribile e comico", ma terribile e triste. Di comico, fra quelle pagine, non ci trovo assolutamente nulla.
American psycho
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Cosa resterà di questi anni ’80?
Era il titolo di una canzone di quel periodo. Ora lo sappiamo che cosa è rimasto: le macerie di un’illusione collettiva di un benessere facile, a portata di mano, ma effimero, ingannevole, fondato solo sulle apparenze. Perfino quelli che nel decennio precedente erano stati irriducibili rivoluzionari, negli anni ’80, quelli di Wall Street o della più casereccia Milanodabere, si sono trasformati in manager spietati.
Tutti parlavano di finanza, di titoli, di quotazioni in borsa, anche le casalinghe, gli impiegati del catasto, i taxisti. Tutti, chi più chi meno, pensavano di potersi arricchire e dare una svolta alla loro vita, giocando con dei numeri.
Di quegli anni American Psycho fornisce un ritratto preciso, netto, al limite dell’iperrealismo. Non avevo mai letto prima un romanzo in cui la descrizione puntigliosa, maniacale dei dettagli fosse essenziale per la storia.
È la storia della schizofrenia di un manager di Wall Street, abilmente dissimulata dietro indumenti firmati, cene in ristoranti esclusivi, frequentazioni prestigiose. Il trionfo della futilità che diventa sostanza.
Il protagonista uccide, o immagina di farlo (ma questo non ha importanza), per ragioni ridicole. La vita di un uomo non conta nulla di fronte alla possibilità di riservare un tavolo nel ristorante frequentato da Donald Trump.
Bret Easton Ellis, con questo romanzo da non perdere, ha costruito la metafora di un periodo che ha sconvolto le coscienze individuali e collettive, al punto da far apparire la frode, la prevaricazione, l’assenza di scrupoli come una necessità.