Andremo a rubare in cielo
- Autore: Patrick Kavanagh
- Categoria: Poesia
- Anno di pubblicazione: 2009
“Andremo a rubare in cielo” è il bellissimo titolo di questo esclusivo ed unico libro di poesie, tradotto in italiano, di Patrick Kavanagh, uno dei grandi nomi della poesia irlandese del Novecento ancora sconosciuto in Italia. Curato e tradotto dal giornalista Saverio Simonelli, con testo originale a fronte, l’opera ci introduce alle liriche del più grande poeta irlandese dopo Yeats, un cantore della sua terra, l’Irlanda.
“Poeta contadino ma eccentrico”, scrive Simonelli
figura d’uomo controversa, artista sedotto dalla poesia, ma perennemente segnato dalla necessità della concretezza, vate autoproclamato tra rudi bifolchi che ama cantare ma dai quali è incompreso
Patrick Kavanagh nacque nel 1904 a Mucker nella contea di Monaghan, al confine con l’Irlanda del Nord. Suo padre, agricoltore, lavorava come calzolaio, mentre la madre era casalinga. Cresciuto ed educato alla fede cattolica, nell’Irlanda rurale e contadina dei primi del Novecento, alla morte del padre si trovò a capo di una numerosa famiglia di fratelli e sorelle. Nonostante il difficile impegno riuscirà a raggiungere a piedi la città di Dublino per conoscere George Russell, amico di Yeats che lo aiuterà a pubblicare i suoi primi lavori. Autodidatta, dall’aspetto trasandato, alto e magro con un paio di occhiali dalla montatura d’osso, Kavanagh lavorerà come critico cinematografico e giornalista, collaborando con Flann O’Brien all’Irish Time. Genuino e semplice, alle volte inadatto alla vita di società, frequenterà l’ambiente letterario dublinese rimanendo, con i suoi modi non troppo cittadini, un eterno outsider: “ridevano della sola cosa che io amavo”. I suoi componimenti narreranno di paesaggi naturali, dei campi di torba, della selvaggia campagna, delle colline, del villaggio dove era nato, della sua infanzia e delle feste religiose. Un poeta che sapeva mettere in versi l’amore per la terra che amava e la dura vita quotidiana dei contadini. Della sua cultura popolare celebrerà le tradizioni e ripudierà i miti e le leggende apprezzati invece dalla ricca borghesia anglo-irlandese.
“Colline di Monaghan, voi avete fatto di me il tipo di uomo che sono, uno a cui mai importerà nulla delle vertigini dell’Everest. Il paese della mia mente ha un centinaio di piccole cime, dove non c’è spazio per i piedi del genio”
Da uomo di fede riconoscerà la presenza di Dio nelle azioni più comuni, in un cielo da guardare, nell’attesa di un raccolto, nell’esperienze dell’uomo e nel suo destino.
“Non ho la raffinata audacia di uomini, che hanno padroneggiato la penna… quando drizzo le spalle per guardare al mondo sfacciatamente, vedo talenti che freddamente mi condannano a un’attrizione umiliante. La mia era una missione da mendicante. Sogni di bellezza per la quale avrei dovuto non avere occhi… e accontentarmi di camminare nelle retrovie, guardando le pietre che specchiano le delizie di Dio”
Seamus Heaney, premio Nobel per la Letteratura, affermò di essersi ispirato a Patrick Kavanagh perché, in “Andremo a rubare in cielo” e negli altri suoi componimenti, era riuscito a rendere poetica una semplice quotidianità. Tanti letterati ed artisti musicali lo hanno celebrato: voglio ricordare, da morrisioniana, la bellissima interpretazione di On Raglan Road nella versione musicale di Van the Man con i Chieftains. Negli ultimi anni della sua vita, durante il periodo di convalescenza per un male incurabile, verrà sedotto dal mondo mai indossato della città, e dal suo mistero. Amava, infatti, sedersi sulla riva del Gran Canale di Dublino, guardare lo scorrere delle acque e rimanere immerso nei suoi pensieri. È ancora lì, seduto sulla panchina per chi voglia portargli un saluto:
“ricordatemi non con una tomba da eroe coraggioso, mi basta una panca, di lato al canale, per chi passa di qua”.
Andremo a rubare in cielo
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