Attaccare la terra e il sole
- Autore: Mathieu Belezi
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Casa editrice: Feltrinelli
- Anno di pubblicazione: 2024
La Francia è stata una delle grandi potenze imperialiste europee.
In questo contesto espansionistico, l’Algeria diventa territorio di conquista a partire dal 1830: la missione dichiarata è portare la civiltà di un popolo ricco di storia e di cultura come quello francese in un luogo di barbarie, attraverso un piano agricolo che non prevede di sfruttare le popolazioni indigene, bensì di “sostituirle” con coloni francesi ai quali sono stati promessi due ettari di terreno da coltivare.
Questa sostituzione si concretizza con il trasferimento di cittadini sul suolo algerino e, soprattutto, con lo sterminio della popolazione locale.
Degli orrori del colonialismo francese in terra algerina, Gérard-Martial Princeau scrive, con lo pseudonimo di Mathieu Belezi, da quindici anni e tre libri, con l’intento di esprimere il profondo malessere dovuto a un passato violento che non è mai stato ufficialmente riconosciuto.
Con il suo nuovo romanzo, Attaccare la terra e il sole (Gramma Feltrinelli, 2024, traduzione di Maria Baiocchi), ha finalmente raggiunto il successo e vinto numerosi premi: mettendo in discussione l’immagine della Francia venuta a pacificare il paese, ha contribuito a promuovere una chiara presa di coscienza di ciò che è realmente successo durante la colonizzazione in Algeria.
Basato su lettere di coloni e di soldati trovate negli archivi pubblici, il romanzo racconta non solo la ferocia che ha caratterizzato, fin dagli inizi, l’occupazione e l’esproprio delle terre, ma anche le perplessità espresse dai coloni che, partiti dalla Francia per lasciarsi alle spalle povertà e stenti, hanno trovato una vita precaria, piena di incertezze e pericoli, di fame, di malattie e di dolore:
“E per tre mesi il maltempo ci ha costretto a rimanere rintanati sotto le nostre tende militari che bisognava accomodare, rattoppare, fissare con corde e picchetti, sferzate com’erano da mattina a sera dai venti e dalla pioggia
rintanati come i maiali nei porcili, le mani e le facce nere di sporcizia, i capelli arruffati, sporchi fino al ventre senza che fosse possibile liberarsi di quella merda, le budella doloranti, sottosopra, costantemente aggredite dalla brodaglia che ci distribuivano i soldati e dagli odori infetti emanati dal nostro corpo lasciato a se stesso, odori di piscio, di merda, di sudore, di carne umida macerata sotto un mucchio di stracci mai lavati”.
Fin dall’inizio è evidente una delle peculiarità di questo romanzo: a parte la prima parola di ciascun capitolo e paragrafo, i nomi propri e il discorso diretto, nel testo non ci sono maiuscole e nemmeno punti fermi, quasi a non voler interrompere graficamente la continuità lineare della narrazione, affidata alle voci di una donna, Séraphine, che con il marito, i figli, la sorella e il cognato ha attraversato il Mediterraneo per raggiungere l’Algeria, e di un soldato, che in quella stessa terra, incitato da un capitano feroce, avido, grottesco e macchiato dal male, dà fuoco a villaggi, taglia teste e infilza petti con la baionetta, sperona il ventre delle femmine, sgozza animali e beve il loro sangue ancora caldo:
“Ed è con una rabbia più cristiana del solito che attacchiamo il fondouk, con le pupille dilatate, le narici palpitanti, i monconi di denti scoperti, come zanne pronte a mordere, ci precipitiamo sotto il portico, e le nostre baionette infilzano le grida dei petti impotenti che alzano al cielo braccia apparentemente pacifiche, mentre il nostro capitano ammazza due o tre burnus
e di colpo cala il silenzio
più nulla da infilzare, nulla da decapitare, ciò che resta dei burnus è in ginocchio, la faccia a terra, pregano che la loro pulciosa carcassa sia risparmiata…”
Fra vittime innocenti e carnefici che obbediscono ciecamente agli ordini dei propri superiori, i personaggi vengono definiti rispetto al loro rapporto con la violenza, in una totale assenza di solidarietà dei coloni verso gli indigeni.
La più brutale realtà del conflitto – saccheggi, devastazioni, uccisioni arbitrarie, massacro di intere tribù, stupri, sottomissione fisica e psicologica, spedizioni punitive contro i ribelli, l’annientamento dell’identità religiosa, culturale e sociale – colpisce uomini e donne in modo diverso.
Il linguaggio utilizzato da Belezi è crudo, impetuosamente esplicito e possiede una forte carica espressiva: un linguaggio che rispecchia e caratterizza i personaggi e le loro storie, che rivela i tratti tragici e i risvolti più crudeli di un mondo assurdo.
Lungi dall’essere fine a sé stessa, la violenza è il mezzo più efficace per descrivere la barbarie che supera quella dei barbari che devono essere civilizzati: colui che è diverso, lo straniero, portatore di estraneità culturale, etnica e sociale è oggetto di quel razzismo che è alla base di ogni impresa di tipo coloniale e che si fonda sulla disumanizzazione degli indigeni.
La mostruosità di alcuni personaggi, insieme alla sofferenza che dura, si prolunga e si amplifica, solleva interrogativi sulla reale natura dell’essere umano.
E sullo sfondo di una natura che, forza eterna, immutabile e spesso “matrigna”, continua la sua vita imperturbabile, il fatalismo e la resa diventano una necessità: per sopravvivere, per chiedere perdono e per fuggire dall’inferno.
Leggere Attaccare la terra e il sole significa immergersi in una quantità tale di dolore tangibile, di male allo stato puro che può risultare quasi intollerabile.
Ma come i libri migliori, muove qualcosa dentro di noi: ci lascia affranti e sconvolti, ma diversi.
Attaccare la terra e il sole
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Attaccare la terra e il sole
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