Boccaccio. La novella di Antonello da Palermo
- Autore: Andrea Camilleri
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2007
"Boccaccio. La novella di Antonello da Palermo" (Napoli, Guida 2007) è l’opera in cui Camilleri attribuisce a Boccaccio una novella inedita di cui è venuto a conoscenza grazie al ritrovamento del manoscritto. Il racconto che egli fa su questa scoperta è circostanziato: Camilleri narra di avere ricevuto la storia in una busta gialla, inviatagli da una lettrice dei suoi romanzi. Ne era venuto in possesso il nonno di costei, un certo Giovanni Bovara, morto nella Prima guerra mondiale e studioso dello scrittore di Certaldo.
Altresì il nostro scrittore fornisce una sua spiegazione del motivo per cui non fu inclusa nel Decamerone. In primo luogo, divergendo dalle idee di Asor Rosa, ipotizza che Boccaccio, possa averla scritta durante il soggiorno napoletano, ritenuto periodo “formativo”. Avendone poi constatato la debolezza stilistica (assenza di fluidità e scioltezza narrativa, incertezza nel tratteggio caratteriale dei personaggi, l’uso, sia pure parco, del dialetto), da qui la decisione dell’esclusione. Novella napoletana, dunque. E non c’è da meravigliarsi del fatto che sia stata prodotta in un territorio geograficamente distante da quello d’origine del narratore, giacché, precisa Camilleri, “uno scrittore non ha bisogno di essere fisicamente in un certo luogo per restituire sulla pagina l’inconfondibile impronta” della radice culturale. Arricchisce i chiarimenti dati con un glossario curato con precisione filologica. Questi, in sintesi, gli elementi che concorrono all’inquadramento della novella in questione nei due assi ineludibili della scoperta e dello scrupoloso commento reso dallo studioso. Un accenno adesso ai contenuti.
La novella, ambientata a Palermo, narra di un’astuzia giocata a danno di un medico, vecchio e geloso, che ha per moglie la giovane Iancofiore. Antonello, il ragazzo che la seduce, coltiva il preciso intento di possederla. Mette così in moto una sottile tattica, in virtù della quale può realizzare il suo piano, beffando il marito. Sicché, questi, da curatore del male manifestatogli da Antonello, diventa gabbato e tradito senza neanche averne il minimo sospetto. La trama è inconfondibilmente boccaccesca, mentre il linguaggio adoperato è toscano. Un particolare non passa però inosservato allo studioso e quindi al lettore: i due giovani nell’intimità parlano tra loro in dialetto siciliano. Com’è possibile che tale idioma potesse essere stato usato con tanta naturalezza da Boccaccio?
La domanda, assieme ad altre, induce così a riflettere sull’autenticità della novella. Un apocrifo è la risposta che se ne può dare. Abbastanza esperto, dunque, Camilleri nella sua opera di falsificazione. Egli, che coltiva un profondo amore per Boccaccio, si è felicemente cimentato con l’italiano del trecento, ricreando l’atmosfera del Decamerone. Un’impostura la sua quasi perfetta, avendo egli usato tutti i mezzi possibili perché possa essere evitata la percezione del falso. L’umorismo del contrario, radicato nella Sicilia di Pirandello, stavolta si toscanizza, trova una nuova ammaliante versione. Il “padre di Montalbano” è così divenuto raffinato interprete del mondo boccaccesco. Il suo sguardo divertito irrompe nella mente del lettore. Lo distanzia dal presente e lo irretisce nel labirinto della falsità. E’, in sostanza, tale strategia di scrittura mistificazione e beffeggiamento della realtà effettiva. E oggi, più che mai, far credere vero il falso non è forse un aspetto inquietante di questo tempo puparo?
Boccaccio. La novella di Antonello da Palermo. Una novella che non potè entrare nel Decamerone
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