Canale Mussolini
- Autore: Antonio Pennacchi
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Anno di pubblicazione: 2010
Vincitore del Premio Strega 2010 - "Canale Mussolini" è un libro lungo, articolato, complesso che sembra comprendere un po’ tutti i generi letterari: ci sono il saggio storico, la storia dell’architettura degli anni 30, l’analisi sociologica, il cambiamento di costume, lo sguardo sulla politica, la storia d’amore, il culto della famiglia che si modifica nel corso dei decenni...
Pennacchi ci conduce per mano dentro la provenienza della sua famiglia: siamo nelle valli di Comacchio ai primi del novecento, e la famiglia numerosissima, attanagliata dalla fame, sarà costretta a lasciare la propria terra ed accettare la proposta di trasferirsi nella pianura pontina, una zona malarica da secoli che il fascismo rampante aveva deciso di bonificare. I membri della famiglia Peruzzi, nome simbolico attribuito a quel gruppo di persone, dai nomi antichi ed altisonanti - Adelchi, Temistocle, Pericle, Paride - diventano fascisti dopo aver rischiato la pelle nelle trincee della prima guerra mondiale; infatti un compaesano, il Rossoni, sta facendo carriera nel neonato partito di Mussolini e trascina nella sua scia i Peruzzi; la promessa di una terra che l’Opera Nazionale Combattenti distribuisce nell’agro pontino convince i nostri protagonisti a mettere sul treno le poche masserizie e a trasferirsi in quella zona non ancora risanata che vedrà la nascita di Littoria e di altre città di fondazione. La trama romanzesca, la cronaca, gli eventi storico-politici si susseguono nella lunga narrazione di Pennacchi mettendo in scena le diverse generazioni e gli intrecci familiari; personaggi pubblici compaiono e si mescolano con quelli romanzeschi, presentati attraverso un dialogo retorico che il narratore sembra voler tenere con un ipotetico lettore-ascoltatore.
Nel libro c’è tutta la storia: la nascita e l’affermarsi del Fascismo, la decisione di procedere alla bonifica, le guerre coloniali, la seconda guerra mondiale vista in quel piccolo fazzoletto di terra che fu strategico dopo lo sbarco di Anzio, la caduta del fascismo e le incertezze della ricostruzione postbellica. Le donne hanno un ruolo importante nella narrazione: la vecchia madre, sorta di profetessa che sogna un mantello nero che la ricopre alla vigilia dei grandi e terribili eventi che coinvolgono i suoi figli; l’Armida, che coltiva arnie piene di api con le quali tiene un muto scambio di parole. E ancora la Bissolata, la Zelinda... Quasi ogni dialogo si svolge in dialetto, a metà tra il veneto e la lingua della Bassa Padana, una sorta di "Cispadano", come vengono apostrofati i Peruzzi dagli abitanti del posto, chiamati a loro volta "Marocchini".
Un libro tutto da leggere, il cui vero protagonista assoluto è il Canale Mussolini, quello che ha permesso a quelle terre di essere prosciugate e di diventare abitabili per tutti quegli emigranti che ci si sono spaccati la schiena, in una coraggiosa opera di ingegneria idraulica che non era mai stata portata a termine malgrado i numerosi tentativi. Pennacchi racconta la storia, con grande lucidità e una buona dose di obiettività, come testimonia la ricchissima bibliografia che fa da corredo al romanzo.
Canale Mussolini. Parte prima
Amazon.it: 14,25 €
© Riproduzione riservata SoloLibri.net
Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Canale Mussolini
Lascia il tuo commento
quando leggo un libro vado sempre a cercare sul dizionario o sull’enciclopedia le parole che non conosco o che non capisco e quando non le trovo mi viene l’impeto di buttare il libro dalla finestra;
che cavolo è il tirabasso antizanzare ????????????
grazie
Leggo solo ora (dopo aver letto il libro qualche tempo fa) il dubbio dell’anonimo lettore che mi ha preceduto, circa il significato di "tirabasso antizanzare", termine che durante la lettura mi era sfuggito. Anch’io non ho mai sentito questo termine ma immagino di cosa si possa trattare, avendo vissuto in un ambiente rurale negli anni ’50. Penso si tratti di un contenitore di cartone lungo circa 10 cm. che durante la stagione estiva si appendeva al soffitto e dal quale si estraeva tirando verso il basso una striscia di carta appiccicosa lunga circa un metro, che catturava mosche e zanzare
Mi capita tra le mani un libro dall’aspetto “importante” Canale Mussolini di Antonio Pennacchi edizione Mondadori 2014. Importante in tutti i sensi. Corposo con le sue 460 pagine, copertine cartonate, sopracoperta lucida con illustrazione forte di un tizio dall’aspetto losco, intabarrato in un ampio mantello nero e cappellaccio calcato su una faccia dall’espressione dura, grintosa. Cavalca non si capisce bene chi o che cosa ed è seguito (o inseguito) da un animale dalle possenti corna simile a un toro o forse un bisonte. Sullo sfondo un paesaggio desolato, un’ampia distesa piatta e arida come lo sono quelle di certe immagini nei noti film di cow boys del tempo passato.
La mia primissima impressione è di noia piuttosto che negativa. Ancora un polpettone alla John Wayne! Ma mi incuriosisce il titolo: in un contesto del genere che centra “Canale Mussolini”? Apro il volume ed appaiono due piantine geografiche con le mappe accuratamente disegnate a mano e colorate, di un tratto di costa italiana affacciata sul Mar Tirreno! Svelato il segreto: si tratta proprio di un paesaggio nostrano, della nostra Italia, ancora troppo poco conosciuto (soprattutto dalle generazioni del dopo guerra) e, in generale, troppo dimenticato: la trasformazione delle Paludi pontine e la loro rinascita nell’odierno Agro Pontino.
Il racconto si svolge nella forma di colloquio tra un ipotetico intervistatore e un nipote della famiglia Peruzzi, prima poveri lavoratori agricoli a mezzadria in un paesino del Veneto, poi coloni importati nelle paludi dell’Agro Pontino.
La narrazione è volutamente semplice, quasi zoppicante, infarcita di espressioni dialettali, ma piena di ironia e tanta, ma tanta, verità che ti colpisce duramente come un pugno che frantumi una lastra di ignoranza e bugie cristallizzata in una visione distorta e misconosciuta della storia. Sì, perché di Storia si tratta. Di Storia con la S maiuscola della nostra Italia dagli anni Venti in poi. E quanta saggezza in questo racconto! Non la lezione scontata di uno storico esperto che viene impartita dall’alto, ma la narrazione pacata, quasi banale, di gente del popolo senza nessuna istruzione, o quasi, ma con assoluta sincerità e forza di lavorare fino allo sfinimento nei campi per sopravvivere con la numerosa famiglia. Senza troppi lamenti ma accettazione del proprio destino di miseria che, tuttavia, non impedisce di vivere la vita al meglio possibile, con amore per il marito, la moglie, i numerosissimi figli che Dio vuole mandare e che servono per lavorare in campagna, gli incontri furtivi con la morosa e la pur sempre voglia di divertirsi con gli amici.
Fin dalle prime pagine le avventure di questa famiglia ti prendono, ti risucchiano dentro nel loro mondo e ben presto capisci che è fin troppo facile giudicare quando sei “fuori” dal contesto, al caldo, al riparo e, soprattutto, quando l’evoluzione della storia ufficiale è già avvenuta.
Perché non accettare una camicia nuova al posto della tua unica, ormai logora e sbiadita? É di colore nero? E chi se ne frega ! Siano i benvenuti anche i calzoni e gli stivali! Mai avuti di così belli...Se poi ti trovano anche qualche lavoretto in più che ti permetta di sfamare finalmente in modo più dignitoso la tua famiglia e i figli.. che vuoi di meglio? In cambio ti viene richiesto solo qualche partecipazione ai raduni, un ridicolo saluto a braccio teso e, magari, rispondere al loro stesso saluto con un semplice “A noi!” Se poi ti chiameranno “fascista” che vuoi che sia? Un nome vale l’altro, sempre meglio che El mona del villaggio! Qualcuno parla di “politica” ma che vuoi che ne sappiamo noi di questa cosa… a noi basta poter lavorare e tornare alle nostre case con le tasche piene.
Arriva il momento, però, che le annate di relativo benessere passano e la scure della miseria e della fame torna presto a pesare non solo sulla famiglia Peruzzi ma su tutta la popolazione del Veneto, del Friuli e in quasi tutte le terre dell’Altitalia come veniva definito a quei tempi il Nord della nostra Patria. Ma niente paura: ci penserà il partito come fa un buon padre per i propri figli.
Qua la vita è diventata insostenibile? Bene, c’è tanta altra terra che ci aspetta, basta curarla e sanificarla un po’ e prima o poi vi ricompenserà con i suoi frutti. Ad ogni famiglia sarà dato un podere da coltivare, troverete una casa pronta da abitare e potrete portare con voi anche le vostre bestie da allevare. Voi dovrete solo lavorare, lavorare e lavorare. E chi vuoi che si sogni di rifiutare una tale generosa proposta?
Così fu che iniziò l’esodo. Perché proprio di esodo si trattò. In tre anni ben trentamila persone furono “deportate” dal Veneto, dal Friuli, dal ferrarese nella terra promessa del Sud nelle paludi dell’Agro Pontino. Iniziò nel novembre del 1932 e per tre anni treni carichi di famiglie intere con le loro poveri masserizie e, a volte, anche con le bestie rimaste fecero la spola tra Nord e Sud. Li accolsero sì le case promesse tirate su in fretta per ogni famiglia, ma trovarono anche acqua, fango, le zanzare anofele che uccidevano con la malaria, nessuna forma anche minima di paesi con strutture sociali e men che meno strutture sanitarie. Di strade neanche parlarne. Inoltre, vennero considerati gente straniera, i “cispadani” che portavano via il lavoro a loro, gli autoctoni di cui non capivano neppure la lingua e considerati a loro volta i “marocchini” gente selvaggia da evitare.
Non vi ricorda nulla questo esodo di cui si è vissuto un’esperienza simile qui, al Nord Est d’ Italia nemmeno trent’anni dopo?
Ma loro, i “cispadani” lì ormai ci sono, indietro non hanno lasciato nulla. tanto vale rimboccarsi le maniche e lavorare. Passano gli anni, è stato lavorato tanto, le paludi sono state bonificate, sono spuntati campi rigogliosi che ricompensano della continua, enorme fatica, si stanno costruendo le prime strade e appaiono i primi agglomerati di edifici e costruzioni che presto si chiameranno paesi.
Un giorno, però, vengono chiamati tutti gli uomini e chi ancora uomo proprio non è, all’adunata. Bisogna armarsi e andare in Abissinia. Non si sa dov’è questa nuova terra, non si sono mai sentiti questi Abissini, ma la Patria chiama! e la Patria è chi ti ha “regalato” la terra e permesso di nutrire ancora la tua famiglia…
Vieni scaraventato in un Paese straniero, ostile, impari a “girare armati per Addis Abeba con i manganelli, le sbarre di ferro e le taniche di benzina”. Impari a uccidere chiunque ti si para davanti senza distinzione fra uomini, donne o bambini ma...la Patria chiama. A qualcuno viene il dubbio che “pure agli Abissini li chiamava la patria loro; anzi, eravamo noi che andavamo a invadergliela. Ma noi credevamo così, punto e basta, è inutile stare ad insistere il dramma della condizione umana è proprio questo: sei quasi perennemente condannato a vivere nel torto, pensando d’avere pure ragione.”
Quando Dio vuole, anche questo finisce. Certo più di qualcuno è rimasto laggiù ma, le famiglie sono numerose e dopo il pianto ci sono nuove braccia che lo sostituiscono e il lavoro, come la vita, riprende. Ma non dura molto. Le esigenze oscure della politica hanno altri obiettivi e i nuovi coloni devono ancora rispondere alla chiamata della Patria. Questa volta non capiscono perché bisogna conquistare l’Eritrea ma “pure il Duce dice di farlo per il bene loro: “Agh portémo la civiltà”.
Ci saranno altre guerre, ancora più distruttive, come la Seconda Guerra Mondiale, ci saranno sempre meno uomini che torneranno a casa. Chi porterà sempre avanti la vita della famiglia saranno le donne. vere eroine della resistenza famigliare. Non capiscono sempre le motivazioni di ciò che succede, vedono salire ai più alti onori personaggi fino al giorno prima disprezzati per poi assistere nuovamente alla loro caduta, i nemici diventano amici per poi ridiventare nemici. Ma a loro non importa, loro tirano su i figli rimasti, lottano per conservare i loro poderi per poter continuare a sfamare la famiglia e basta perché: “Ognuno gà le so razòn”
Verrà anche il giorno in cui si pretenderà di mettere sotto accusa anche il loro operato ma le donne dei Peruzzi sono forti, ostinate e senza paura urlano la loro verità.
Tedeschi, Italiani, Inglesi, Americani, fascisti, socialisti, comunisti: oggi ostili, domani alleati. Tutti pronti a prendere, ingannare, approfittarsi dell’apparente fragilità delle donne. “Noi abbiamo sparato. Contro i todeschi, contro i mericàn, che casso de diferénsa la fa? Sempre resisténsa xè.!”
Questa è la Storia dell’Italia. Questa è la nostra Storia e questo è ciò che ci racconta Antonio Pennacchi, indefesso lavoratore latino lui pure, evidente profondo conoscitore non solo dei fatti storici ma anche dell’animo del popolo italiano. Bellissimo libro come pure altri suoi che sicuramente meritano di essere letti. Da ricordare anche “Il fascio comunista” (Premio Napoli 2003) da cui è stato tratto il film “Mio fratello è figlio unico”.