Causa di forza maggiore
- Autore: Amélie Nothomb
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Voland
- Anno di pubblicazione: 2015
“Avevo la stessa età, la stessa altezza, lo stesso colore di capelli, la mente abbastanza contorta – e la vita abbastanza fallita – perché mi venisse l’idea di scambiare la mia identità con quella di Olaf”
Il furto di identità è uno dei “tòpos” più saldi della storia letteraria e torna ad essere tema di grande attualità grazie al genio, folle e delicato, di Amélie Nothomb, che lo pone al centro del suo sedicesimo romanzo Causa di forza maggiore (Voland, 2015).
Arriviamo subito al dunque: la Nothomb non è di certo una scrittrice semplice, anzi, è tanto complessa e spesso criptica, quanto piacevolmente ariosa nello stile; i suoi romanzi assomigliano a dei veri giochi letterari, tanto è gustosa la forma e dolce la sua ironia, ma ciò che la rende davvero accattivante è proprio il gap che si crea tra il contenuto del libro – voli pindarici a cui la logica, a volte, fa fatica a piegarsi – e il contenitore.
Baptiste Bordave è l’assurdo protagonista di questa storia altrettanto assurda, in cui la vita normale di un francese qualunque viene sconvolta da un episodio piuttosto singolare. Reduce da una festa durante cui ha dialogato con uno sconosciuto sulle possibilità – e probabilità – che qualcuno venisse a morire di morte naturale in casa propria, e dunque sul comportamento più consono da adottare
“Se le muore inopinatamente un ospite in casa, si guardi bene dall’avvertire la polizia”
Baptiste si trova, il mattino seguente, ad aprire la porta di casa ad un perfetto estraneo che chiede gentilmente di poter utilizzare il telefono e, subito dopo aver composto il numero, muore.
Sì, signori, muore, stecchito a terra, senza chiedere “per cortesia”, “per favore”, né “scusi” né “grazie”.
Semplice coincidenza? Destino? Fatto sta che l’anonimo e insulso signor Bordave impiega pochissimi minuti per
“trasformare quella tragedia surreale in un’opportunità”
Uno sguardo alle generalità del defunto – che peraltro somiglia molto al nostro impiegato trentanovenne senz’arte né parte – e “Baptiste diventa subito Olaf Sildur”, proprietario di una Jaguar mozzafiato in sella a cui Baptiste, il novello Olaf redivivo, si porta fino alla villa del morto. Ad attenderlo una splendida donna senza nome che ama soltanto bere champagne.
Potremmo definirlo come un eccellente esempio di teatro dell’assurdo, se non fosse che la tragicità della vita vera emerge ad ogni pagina; Amélie Nothomb ha costruito una storia che è “un capolavoro di menzogne”, proprio come la vita del signor Bordave. Al centro “il tema dell’identità”, o meglio della
“ricerca di un sé che corrisponda quanto più possibile alle nostre ambizioni”
forse anche alle nostre aspettative, ma che sfocia, incredibilmente, nell’unica soluzione possibile: il furto.
Dare un volto all’inerzia e soprattutto “cancellare il proprio fallimento”, sono azioni possibili quando vengono inaugurate da qualcun altro: l’occasione per Baptiste si presenta sotto forma di “causa di forza maggiore”, ossia sotto forma di morte. Il decesso improvviso di Olaf Sildur apre la strada alla nascita del nuovo Bordave, che si troverà non solo una nuova esistenza bella e pronta, ma avrà accanto a sé anche una donna che non si opporrà a quel cambiamento. La vedova di Olaf, all’oscuro dell’accaduto, si rivelerà una tabula rasa su cui Baptiste potrà dipingere le sue nuove abitudini: la giovane e bella donna non ha un nome, sembra addirittura non avere un passato, una storia da raccontare, né tanto meno un presente da gestire. L’uomo si fa complice della vita che, attraverso la morte, gli concede una seconda chance: rubare l’identità di qualcuno sarà il lasciapassare per la rinascita.
La Nothomb sembra ispirarsi ad una certa cultura cinematografica e letteraria del Novecento, entro cui si sono mossi registi del calibro di “Michelangelo Antonioni” che, in “Professione reporter”, affronta proprio il tema del furto di identità. David Locke – interpretato da uno strepitoso Jack Nicholson – è un giornalista di successo che, annoiato dalla vita e giunto al culmine della sua fama professionale, scopre la possibilità di reinventarsi e di ricominciare tutto da zero rubando l’identità di un defunto che gli somiglia.
Ma certamente a nessuno sarà sfuggito lo stretto collegamento con I“l fu Mattia Pascal” di “Pirandello”, il maestro nostrano dell’assurdo, ma soprattutto fine indagatore della psicologia umana e dei comportamenti sociali.
“Causa di forza maggiore” è un romanzo, quello della Nothomb, molto raffinato, in cui ad una leggera vena di humour si mescola la tensione degli equilibri intaccati. Una nota distintiva, lo champagne. Questo liquido dorato, servito rigorosamente ghiacciato in calici brinati, nasconde le sue bollicine cristallizzate dietro il vetro, che si rompono in bocca frantumandosi in lussuriose gocce di arrendevolezza:
“C’è un istante, tra il quindicesimo e il sedicesimo sorso di champagne, in cui ogni uomo è un aristocratico. Questo momento sfugge al genere umano per un motivo banale: gli uomini sono così impazienti di raggiungere il culmine dell’ebbrezza che soffocano quel fragile stadio in cui gli è concesso di meritare la nobiltà”.
È questo il diretto collegamento tra “la giocosità della vita” e la “sua stessa inquietudine”, l’affanno che caratterizza l’esistenza di ogni essere umano e la piacevolezza di assaporare il percorso che porta al susseguirsi degli eventi. Solo l’uomo che ha consapevolezza della finitudine del sé e, proprio per questo, può permettersi il lusso di osservare la vita che scorre, pur tormentandosi in seno ad essa, riesce a gustarsi quell’attimo di eternità che è concesso allo sguardo distaccato dell’aristocratico.
“Gli uomini di Sheneve non ci hanno preso, ma il pericolo non è mai stato scongiurato. Questa spada di Damocle ha mantenuto la nostra felicità in quello stato convulso che la triste tranquillità sottrae alla gente senza storia”
Esserci equivale a vivere, e vivere significa giocarsi la vita stessa, nella speranza di non soccombere, ma nella certezza, comunque, di aver lasciato un’impronta.
“Causa di forza maggiore” è “un romanzo sulla definizione del proprio Io”, inteso come Io d’Azione e di Pensiero, un romanzo che sprona all’urgenza di sapersi vivi, al di fuori del fallimento che la quotidianità impone. Una tensione continua e disperata all’infinito, un gioco spietato che sfocia in un mare di Veuve Clicquot.
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