Cinquantun giorni
- Autore: Andrea Moro
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: La nave di Teseo
- Anno di pubblicazione: 2024
Andrea Moro ha scritto un romanzo ispirato utilizzando un linguaggio "misto": filosofico, realistico, ironico, metaforico. Un linguista come lui non poteva fare diversamente ed è nato Cinquantun giorni (La nave di Teseo, 2024), una storia ambientata nella Milano del 1978, piena di nebbia e di oscuri presagi, dove ogni giorno viene ammazzata una persona per motivi "politici".
La storia di Pietro, di Gionata, di Lucia, di Hernes prende il via quando una donna ricca e misteriosa, Anna Rérere, organizza una sfida teatrale tra due gruppi di attori teatrali. Chi vince prende tutto, ovvero il Teatro Rosso di Milano; gli sconfitti dovranno sciogliersi e riprendere dal basso in un altro gruppo teatrale. La storia è quella di Achille, Ettore e Patroclo.
Achille verrà interpretato da Pietro Raphèl, l’attore di teatro più bravo in Italia, e Ettore invece andrà di diritto a Gionata Mai, rivale di Pietro che stima enormemente perché ha imparato da lui. Siamo nell’ottobre del 1978, entro le feste natalizie Anna Rérere si aspetta che le prove siano a un buon punto e nonostante un fascino e un mistero unico, Anna sembra una delle streghe di Macbeth. Dopo averli divisi in bianchi e rossi, la Rérere vuole che gli sconfitti non si facciano più sentire alle sue orecchie. Pietro arriva in teatro e trova già Lucia, che è la segretaria del Teatro Rosso e il loro ufficio stampa. Sorda, scrive su dei taccuini le cose più importanti e poi se si parla lentamente, guardandola, capisce tutto.
La quotidianità dei due amanti si svolge nella casa bellissima di Pietro, dove i libri in biblioteca non vengono messi in ordine alfabetico ma in modo scelto, nel senso che se guardi una copertina sei attirato da quella vicina perché gli argomenti sono attinenti. E se Gionata mai mette i libri a casaccio, i due si conoscono da ragazzi, entrambi residenti a Ginevra, figli di due famiglie ricchissime. E l’amore per Lucia da parte di Pietro toglie di mezzo, ma non troppo, un sottile substrato omoerotico tra i due migliori attori di Milano in questa riduzione dell’Iliade.
Nel gruppo di Pietro c’è anche Francesco, bravissimo attore, che è stato l’unico a cui Pietro ha insegnato qualcosa, visto il talento. L’unica grande differenza è l’aspetto: l’attore giovane è corpulento e anche il suo viso è strano; ha la faccia rubizza di chi mangia molto e non sopporta il freddo. Pietro e Gionata, invece, sono perfetti, si sono costruiti un corpo che non ha difetti. Forse il tempo che scorre inesorabile per tutti mostra sottili rughe quando sorridono o qualche cedimento al girovita, anche se lo scrittore non ci dice l’età dei due attori. Le prove dei due gruppi inizieranno il primo novembre e lo spettacolo è previsto in cartellone il primo marzo del 1979.
Pietro e Lucia nell’attesa fanno i fidanzati, mangiano bene nella casa lussuosa di lui e fanno una gita al mare, ma l’attore non dimentica l’amico Hernes che è ancora nella clinica psichiatrica, che sembra un albergo a cinque stelle e ci sono più persone che saldano i salati conti, tra cui spicca Anna Rérere. Hernes, che è un pazzo geniale, al telefono con Pietro parla delle formiche che vanno sempre in fila al peccato originale e spesso l’attore si perde, ma poi qualcosa capisce quando finisce la telefonata.
Di Gionata sappiamo che è sposato con Alessandra, che è di Torino e da poco ha messo al mondo un maschietto di nome Pietro. Nessuno sa perché è stato scelto quel nome, l’attore meno di tutti gli altri.
Il destino in questo romanzo ha una parte preponderante che nessuno dei personaggi vuole ammettere. Il peggio deve ancora venire, il direttore del Teatro Rosso ha bisogno di una nuova segretaria e lui sceglie Lucia, che andrà a vivere a Roma e viaggerà molto. Anche in questo caso c’è un ricatto alla base della scelta. Lucia non può rinunciare al nuovo lavoro, perché il direttore fa da garante alla casa del padre di Lucia e ha dunque il potere di rovinare una famiglia.
Pietro accetta il fato avverso ma non vuole più recitare la riduzione dell’Iliade, non farà prove, non sarà più Achille. Si chiude in un silenzio assurdo, scontroso; Francesco è l’unico che vuole vedere, e il povero attore si ingegna da cuoco, filtra le telefonate, pulisce, in una parola fa tutto. Nel frattempo Gionata ha deciso una memorabile vendetta contro sé stesso: dal momento che Pietro è più bravo di lui, e lo sa, lo colpirà alla fine quando sarà bardato come Achille. E il suo gruppo vincerà e il suo bambino Pietro andrà a trovarlo in prigione. Una idea scellerata, e da quel punto questo romanzo diventa un poliziesco, il sangue è stato versato, come fosse un kammerspiel, un dramma da camera che non si può svelare.
Ma a questo punto di Cinquantun giorni esce il linguista Andrea Moro. Mentre succede di tutto, qualche pagina prima, Moro scioglie la canzone Pensiero stupendo di Patti Pravo in un contesto tra uomini giovani e non più così giovani. Ci ha preso in giro, può dire lo scrittore al suo primo romanzo. Ma no, la vita alla fine è una "cosa" semplice: si nasce, si muore, qualcuno ammazza, qualcuno viene ammazzato.
La finzione delle parole scritte, di quelle parlate, è ciò che ci rimane.
Cinquantun giorni
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