Come chiamando
- Autore: Erika Zippilli - Ceppi
- Genere: Arte, Teatro e Spettacolo
- Categoria: Poesia
- Anno di pubblicazione: 2011
La scrittrice e traduttrice ticinese Erika Zippilli-Ceppi ha vinto nel 2007 il Premio Schiller con un volume di racconti (“Regine di confine”) ambientati nelle comunità paesane della Svizzera Italiana, prestando voce e parola nuova (antica di antichi dialetti), attraverso coniazioni linguistiche sperimentali, a dieci donne portatrici di una cultura e di una storia che sa farsi, da privata e familiare, patrimonio collettivo da preservare con amorevole cura.
Nel 2011 ha pubblicato con le eleganti edizioni Fuoridalcoro “Come chiamando”, una silloge di poesie in sessanta copie numerate, impreziosite ciascuna da originali acquerelli di Michela Pozzi. Non è un libro da sfogliare tradizionalmente: si apre a fisarmonica, con i testi stampati sulle due facciate, chiuso tra due copertine nere di cartone pressato.
Otto poesie in cui
“compaiono voci e destini di alberi, case e abitanti del suo territorio reale e emozionale”.
Versi che raccontano un passato ripescato da trascurate pieghe della memoria
“Il ricordo sceglie da sé / il come e l’ora / in cui venire al mondo”
per narrare esistenze minime di donne comuni, di abitazioni cariche di vita e affetti, di vegetazione silenziosa ma partecipe all’esistenza degli esseri umani.
Gli alberi (gelsi, castagni, ulivi) sono descritti nel loro pervicace aggrapparsi alle radici,
“gravati da silenzi offesi /... ieratico rifugio di notturni voli”
nel loro solido resistere alla forza dei venti, svettare verso il cielo con l’intrico dei rami, offrire riparo (“muschiati anfratti”) alle bestiole del bosco.
Ma sono soprattutto le case che abitano questi versi, case vecchie di un Ticino dimenticato, frequentate da donne che si facevano visita a vicenda (chiacchierando, consolandosi dei reciproci magoni), e appartamenti nuovi, impersonali, freddi (“in fondo alla fila di porte pittate tutte uguali”). Ci sono, nelle case descritte, corpi di malati
“come chi aspetta la scure, / testa insaccata di fianco al letto, / senza domande”
laboriose sartine “in attesa di non si sa quale attesa”, in ansia “al su nanca mì parché...”, vedove che fanno visita al cimitero “tré volte al dì, sum pròpi chì da còmud!”, mogli abbandonate dai mariti emigrati “in Merica”, bambine spaurite nella “vestina scarlatta”.
Personaggi lontani da una contemporaneità frenetica e disillusa, che sembrano quasi straniati nei loro “gesti impalliditi”. A loro l’autrice vorrebbe regalare, “un cielo azzurrorosa”, “glicine spavaldo”, “veloci stelle”, “bozzoli dorati”: poesia, dunque, che funga da lasciapassare verso un oltre più clemente, “Come chiamando” - in una lingua densa di meditato spessore - l’orizzonte di un desiderio futuro.
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Come chiamando.
Le due case, La casa in tre, La casa quattro, La casa senza.
E le case di Erika Zippilli-Ceppi diventano il ricordo, il rifugio, il nido e anche la conchiglia : ininterrotte pertinenze del nostro corpo , nicchie fatte a nostra misura, per la dismisura del bisogno di solitudine, di riconquista del vissuto che è stato, di segretezza, di fuga verso ciò che ci afferra anche se mani non ha.
Tanti fra noi trascorrono ore di condominiale splendore, nella illusione di governare una platea sconfinata , un pò stanca a fine giornata.
Ma a quanti di noi non manca l’antica capanna dove era dolce nascondersi, quasi annullarsi nella moltiplicazione dell’inesplicabile, come un saggio gatto sotto la poltrona?
Finito il tempo del sogno, monta una sorta di tenera esigenza di riscatto dall’angoscia : perchè un palo piantato è più rassicurante di uno sconfinato anfiteatro dove ci è concessa la possibilità di comunicare direttamente con il dio.
Natalia Ginzburg cerca una tana.
Una nuova casa ma intanto stregati motivi la trattengono legata alla vecchia dimora d’affitto.
"Ci stavo dentro come in una calza vecchia.Perchè cambiare casa?".
Così Natalia.
E con lei, Fuoridalcoro, Erika ne La casa quattro : " Giro di vita,di polso,di collo,/ forbici,spilli,cartamodelli,/ alzavo la testa neanche mai di festa!".
Le case di una poetessa contemporanea mi restituiscono l’accorato addio alla casa del nespolo di Giovanni Verga.
"..E il vecchio, nell’andarsene, posò di nascosto la mano sulla porta sconquassata, dove lo zio Crocifisso aveva detto che ci sarebbero voluti due chiodi e un bel pezzo di legno".
Ne La casa in tre " Perché la bimba s’affaccia alla porta/ se tutto, là dentro, è stretto sgomento?".
Le case, le finestre.
La finestra separa e unisce , fa da raccordo fra il mondo racchiuso fra le pareti e il mondo esterno.
Jorge Carrera Andrade : " La finestra nacque da una voglia di cielo/ e nella nera muraglia si posò come un angelo./ E’ l’amica dell’uomo/ e la portinaia dell’aria".
E ne Le due case , Erika scruta con dolcezza la finestra della vecchia casa : " La voce trema e smuore nel magone,/se mi ricordo/ dei suoi gerani rossi sul balcone...".
La casa è antro, castello, sorpresa, meraviglia, dolore addomesticato, mistero.
Ma quanti richiami, rimandi, sorprese sono raccontati da una crepa del muro, da un quadro, da un odore che non svanisce.
Come chiamando, sempre più chiamando, l’ombra rotola dal tetto, misura la lobia spoglia, ritaglia quattro bambole, sul letto di quattro stanze.
Grazie, Erika, per la rugiada ricascata su certi miei pensieri male accatastati .
E lasciatemi finire, se vi garba, con Nazim Hikmet che mi ha insegnato che la Terra è la dimora dell’umanità ma che tanti, forse infiniti, sono i modi di abitare una casa.
Gli unici da evitare sono però quelli dettati dal disamore di un inquilino meschino o dalla deviante spensieratezza di un villeggiante troppo distratto.
"Vivi in questo mondo/ come fosse la casa di tuo padre./ Credi al grano/alla terra,al mare,/ ma prima di tutto ama l’uomo".
Come chiamando, qualcuno mi richiama a casa.
Ringrazio di tutto cuore l’autrice della recensione Alida Airaghi, che ha saputo cogliere con grandi empatia e sensibilità i messaggi dei miei "alberi" e delle mie "case".
Erika