Coventry. Sulla vita, l’arte e la letteratura
- Autore: Rachel Cusk
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Einaudi
- Anno di pubblicazione: 2024
Questo libro di Rachel Cusk sembra riprendere una constatazione che in Italia sta creando dibattito: il bisogno di scrivere talvolta dei memoir, se la forma romanzo ci sta per un periodo stretta o come necessità perché si viene già da opere letterarie molto premiate e incensate. A dirlo è una scrittrice molto pragmatica, diretta, che racconta a una delle due figlie adolescenti la stanchezza di redigere uno script per Lars Von Trier oppure le spiega quanto era brava la grande Natalia Ginzburg.
In unico volume troviamo quindi il saggio, il trattato breve, e poi l’analisi di due libri che l’autrice ha trovato non di suo gusto, anche se non sono recensioni nel vero senso del termine. Rachel Cusk indaga il ripostiglio delle nostre vite abbastanza complicate, ma senza concessioni al sentimentalismo, giacché l’autrice è una donna pratica, come ama ribadire, che ha un’idea su un articolo mentre compra le uova al supermercato.
Il libro ha come titolo Coventry. Sulla vita, l’arte e la letteratura (Einaudi, 2024, traduzione di Anna Nadotti e Isabella Pasqualetto) ed è stato scritto originariamente nel 2018.
Il primo pezzo della Cusk ha come titolo La guida come metafora, in cui l’autrice si chiede perché sia così dipendente dall’automobile, mentre da giovane non la usava mai, pur avendo due bambine in braccio e la spesa e poi l’autobus; eppure ora che ha finalmente capito la pericolosità dell’automobile, di quanti giovani si porta via in drammatici incidenti e di quanti anziani possano essere distratti alla guida, magari prendendo in pieno uno/a sulla bicicletta che tra l’altro non inquina, sopporta minuti e ore intere dentro un ingorgo del traffico. E chiede, lo fanno anche gli inglesi, se si tratti di un ingorgo neutro o ci sia stato un incidente. Oppure si ferma a riflettere su un’anziana di novantaquattro anni che ha appena investito una bambina di dieci anni che camminava sulle strisce pedonali, se questa narrazione abbia un senso o se la donna, potendo, farebbe cambio morendo lei al posto della piccola; mentre dopo quello che è successo, fino al suo ultimo giorno di vita, sarà la “donna vecchia” che ha ucciso una bambina.
Sulla maleducazione Cusk scrive un aneddoto rifacendosi a una scena che ha visto in aeroporto. Tra le righe viene ricordata la Brexit, l’autrice ha assistito all’uscita del suo paese dall’Unione Europea e al trionfo della maleducazione più smaccata. In aeroporto l’autrice vede una donna di colore elegante che passa all’imbarco con il bagaglio a mano, ma nell’immediato una guardia vede due borselli pieni di cosmetici e creme e le dice che può portarne solo uno. La donna in modo paziente cerca di mettere alcune creme in un solo astuccio, ma non ci stanno tutte e quindi deve lasciarle. La guardia è in una fase di orgoglio e impotenza. Segue l’amico della scrittrice che porta con sé dei tubetti di colore, è un pittore gentilissimo. Anche in questo questo caso non va bene; ma la soluzione è la borsa della Cusk, capiente e semivuota, che può contenere i tubetti. In questo caso la guardia aiuta a mettere i tubetti nella borsa, mentre per la donna di colore non ha mosso un dito. Sono poche righe ma il lettore nel leggerle sente una rabbia sorda, segno che un normale controllo aeroportuale di routine diventa un ring per manifestare la soddisfazione di alcuni inglesi, mentre altri accettano a stento questa nuova arroganza chiedendosi come diavolo sia successo che vincesse chi ha voluto un’orgogliosa Gran Bretagna fuori dal contesto europeo.
Mentre è un capolavoro di bravura una riflessione sulle case degli altri e sulle nostre case, dove si capisce che anche le figlie della Cusk preferiscono le case degli amici rispetto alla propria. La Cusk a tal proposito ha una sua spiegazione personale: le case degli altri hanno altre narrazioni, altri vissuti, ma sembra che all’interno tutto sia più pulito, anche l’interiorità dei loro abitanti.
Gli adolescenti temono che altre persone della loro età si accorgano di quanto siano ancora legati ai genitori, al padre, al cordone ombelicale della madre. È insostenibile e poi per questo motivo non c’è vera chiarezza, i rapporti con chi ti ha messo al mondo sono opachi, sempre in bilico tra affetto e autorevolezza.
Nel capitolo dal titolo Dopo, la Cusk parla del suo divorzio, che fu meno pesante di quanto immaginasse, perché aveva completa fiducia nell’integrità morale dell’ex marito nei confronti dei figli. Un ex marito avvocato, che per stare più tempo a contatto con le figlie non lavorò per un certo periodo, di conseguenza la scrittrice non doveva pagare gli alimenti solo ai minori, ma anche allo stesso marito, senza che ci sia stata mai una parola di troppo né degli screzi. E quindi si torna a parlare degli anticipi previsti per gli scrittori anglosassoni, in confronto agli statunitensi. Non viene specificato se in passato la Cusk abbia fatto altri lavori. Certo lei godeva già di un certo successo, ma non che avesse scritto ancora molto; soprattutto non fu aiutata dai suoi genitori in quel periodo di crisi. In queste righe si evince l’animo pratico della donna anche prima del suo lavoro “artistico”.
Si arriva alla fine del libro con un capitolo intitolato Classici e best seller. Non sono recensioni, la Cusk non parla degli ultimi libri letti, ma di ciò che le piace negli scritti di altri colleghi, ma anche di classici come i romanzi e i racconti delle sorelle Brontë, che lei adora e su tutti Cime tempestose di Emily Brontë. Poi di Edith Wharton col suo capolavoro, L’età dell’ innocenza. E poi di bestseller contemporanei. Con finissima ironia Rachel Cusk distrugge un romanzo che ha venduto moltissimo, come Mangia, prega, ama di Elizabeth Gilbert che ha visto la trasposizione cinematografica con protagonista Julia Roberts. Seguono le parole bellissime che l’autrice inglese riserva a Natalia Ginzburg, di cui chi scrive non anticipa nulla perché bisogna leggerlo questo libro straordinario, bellissimo.
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