Da dove sto chiamando
- Autore: Raymond Carver
- Genere: Raccolte di racconti
- Categoria: Narrativa Straniera
La raccolta Da dove sto chiamando contiene un insieme di racconti che Raymond Carver selezionò personalmente prima di morire, quindi può essere considerata un buon sunto della sua produzione.
Lo scrittore americano si conferma come un maestro della tecnica del minimalismo per cui è giustamente famoso: quasi tutti i racconti sono ridotti all’osso - sia nei contenuti sia nella forma - e ruotano tutti più o meno sugli stessi temi, molti dei quali trovano eco nella stessa biografia dello scrittore. Abbiamo protagonisti sempre alle prese con lavori umili, che spesso eccedono nel bere (la motivazione implicita è: per sopportare l’esistenza che conducono) e ne pagano le dovute conseguenze. Sempre presenti i problemi di coppia: uomini e donne litigano di continuo, si lasciano, si tradiscono, si sopportano, si ubriacano insieme. Nessuno slancio, o quasi, arriva mai ad animarli, a spezzare i limiti della loro vita sterile e ripetitiva. Carver non calca mai la mano; lascia che l’ineluttabile affiori dalla quotidianità, dalle piccole scene della vita di ogni giorno. Per questo i suoi racconti assomigliano ai quadri di Edward Hopper: scene immortalate in un istante di luce freddo e senza scampo.
Carver descrive un’America allo sbando - e non a caso alcuni di questi racconti costituiscono tra l’altro lo scheletro di America oggi, probabilmente uno dei film più deprimenti che siano mai stati diretti, perla di Robert Altman.
Quella descritta è l’America delle persone comuni che non pensano neanche più a sognare. È l’America della rassegnazione e della stanchezza. Dove bisogna vendere vitamine per sbarcare il lunario; dove lo scontro tra le persone per il denaro - per le meschine impellenze di ogni giorno - è sempre in agguato.
Certo Raymond Carver riesce a dare a certe situazioni, a certi oggetti, anche una valenza simbolica che sa andare oltre la pura materialità. Basti pensare alla scena finale del racconto Cattedrale dove una persona cieca insegna a una persona "normale" a vedere realmente attraverso l’immaginazione. Oppure pensiamo al racconto con cui termina la raccolta, L’incarico, ispirato agli ultimi giorni di vita del grande scrittore russo Anton Čechov. Il tappo di champagne che il ragazzo raccoglie alla fine può essere visto come il simbolo dell’eredità che il grande scrittore lascia dietro di sé, che scavalca con facilità la sua morte.
Presi tutti insieme, per le loro intime caratteristiche, i racconti di Raymond Carver possono sembrare fin troppo scialbi e ripetitivi, così privi di colore e di fantasia. Può irritare la monotonia delle situazioni, degli aneddoti o lo scarso uso di una prospettiva più ironica e meno algida.
Eppure, chiuso il libro, queste storie resteranno con ogni probabilità incollate al lettore, che probabilmente troverà facile – in svariate circostanze - ripensare a un racconto di Carver guardando con disincanto il mondo attorno a sé.
Da dove sto chiamando
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