Dal Piave a Vittorio Veneto
- Autore: Claudio Razeto
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2018
Silenzio, parlano i fanti dell’ultimo miracolo della grande Guerra. Una storia in diretta, in cui il racconto degli ultimi mesi del conflitto 1915-18 sul fronte italiano è affidato ai combattenti sul campo, col supporto dove necessario di atti ufficiali degli eserciti contrapposti: questo l’obiettivo - raggiunto - di Claudio Razeto, autore per le torinesi Edizioni del Capricorno di un volume efficace e ricco di immagini di allora. “Dal Piave a Vittorio Veneto. Una storia diversa”, è in libreria da metà 2018 (167 pagine 12.90 euro), godendo anche di una sinergia in edicola con il quotidiano “La Stampa”, nel centenario della battaglia sul fiume veneto, a giugno di quest’anno.
Fotoreporter dell’Ansa, dopo esperienze a “Paese Sera” e al “Messaggero”, il giornalista può vantare un’indubbia padronanza degli argomenti, trattati con un taglio agile e divulgativo. È competente tanto sul piano dei contenuti storici che dei contributi iconografici. Esperto di archivi storico-fotografici e documentari, ha già firmato numerose pubblicazioni di storia contemporanea e guerre del ‘900, oltre a vantare collaborazioni con le riviste specializzate più diffuse.
Il lavoro prende avvio da quella che il collega Razeto considera la “vittoria” di Caporetto. Per il Paese è stato un successo non essere del tutto crollato sotto il peso di un tracollo del fronte, che sembrava un cataclisma mostruoso in confronto alle azioni di guerra precedenti. Fino ad allora, i risultati degli attacchi e contrattacchi sul Carso, di qua e di là dell’Isonzo, in Carnia, erano stati misurati solo a centinaia di metri, per non dire del conflitto “verticale” in montagna, sulle alte quote.
Centotrenta chilometri di ritirata caotica dal Friuli al Piave, tanta era la distanza in linea d’aria da Tolmino e dalla Slovenia alle trincee del Basso Veneto e del Monte Grappa.
Impressionante il numero dei prigionieri lasciati in mano al nemico, la quantità di materiali perduti e l’estensione di territorio abbandonato agli occupanti austroungarici.
Non erano poi tanti, il 10 novembre, i combattenti italiani a presidio del fiume sacro e degli aspri rilievi del massiccio montano sopra Bassano, saldati dall’altopiano del Montello, ma bastarono a fermare il primo esausto impatto degli attaccanti, provati dall’avanzata che loro stessi non prevedevano tanto profonda.
Affluirono forze fresche e vennero momenti più difficili per le nostre difese, ma nel novembre-dicembre 1917 ecco il secondo “miracolo”: la battaglia d’arresto sulla salda linea difensiva veneta, seguita da un’altra vittoriosa resistenza a metà del giugno successivo e dallo sbalzo offensivo e finale delle rinfrancate truppe italiane a fine ottobre 1918. Una vicenda raccontata da testimoni che avevano gli scarponi infilati nel fango e anche dalle tante immagini in bianconero e cartine che affollano queste pagine. Foto che hanno molto da dire, quanto i testi.
Vi si può scorgere l’impegno sereno di un picchetto di alpini a presidio dell’imboccatura di un ponte ferroviario. Sono tutt’altro che ragazzini di primo pelo, certamente ultratrentenni della milizia territoriale, intabarrati in mantelline insolitamente scure, che spiccano sull’uniforme grigioverde.
Che contrasto coi giovani fanti di marina, in tenuta da campagna ma sempre col caratteristico solino sulle spalle. Appaiono freschi, sorridenti, in posa davanti all’obiettivo, accalcati spiritosamente all’ingresso di un ridottino di trincea, a Capo Sile o Cortellazzo.
Tra le centinaia di foto, alcune già viste, altre meno, spicca quella inconsueta di un militare coperto fino a metà coscia da una zanzariera bianca, a cappuccio, che lo rende simile a un fantasma. Serviva a proteggerlo dagli insetti malsani che nelle zone acquitrinose del fiume creavano ai combattenti altrettanti problemi delle pallottole e delle schegge di bombe e shrapnel.
Molto spazio viene dato alla prima battaglia d’arresto, quella invernale, condotta da un esercito scosso ma non battuto, capace di rimettersi in piedi dopo il colpo micidiale subìto da un nemico che ora sembra sorpreso dalla nostra rinascita, tanto era convinto di aver piegato gli italiani ed eccitato dalla prospettiva di sfondare nella pianura padana e mettere le mani sul nuovo bottino di viveri di un’economia meno provata di quella degli imperi centrali, asfissiati dal blocco commerciale imposto dall’Intesa.
Dopo sei mesi di aggiustamenti delle linee e di preparazione da entrambi i lati del fronte, alle tre di notte di metà giugno, 2135 grandi e medi pezzi d’artiglieria austroungarica scatenarono la Battaglia del Solstizio. Sul Grappa l’offensiva venne contenuta in poco più di 24 ore, dal Montello al mare ci vorrà una settimana per fermare gli attaccanti, eliminare le loro teste di ponte sulla destra Piave e ricacciarli.
Questa volta, diversamente da Caporetto, la contropreparazione della nostra artiglieria colpì duro le masse attaccanti, seminando morte e scombinando l’assetto dei reparti, soprattutto nelle fasi delicate dell’attraversamento del fiume. La lezione del novembre 1917, quando i cannoni della II Armata tacquero, era stata imparata a fondo.
Da lì vennero le giornate di Vittorio Veneto, Trento libera e Trieste italiana.
Dal Piave a Vittorio Veneto. Una storia diversa
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