Dell’anima non mi importa
- Autore: Giorgio Montefoschi
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: La nave di Teseo
- Anno di pubblicazione: 2022
Molta attenzione stanno dando i giornali all’ultimo romanzo pubblicato per La nave di Teseo da Giorgio Montefoschi, lo scrittore romano che ha al suo attivo la pubblicazione di moltissimi libri, tutti ambientati a Roma, anzi in una parte di Roma molto caratterizzata, il quartiere Parioli. Tanto il più giovane scrittore Matteo Nucci, che lo ha intervistato per “l’Espresso” dello scorso 6 febbraio, quanto Antonio Gnoli, che gli ha dedicato due intere pagine su “Robinson” (12 febbraio 2022), hanno sottolineato come Montefoschi si dica consapevole di appartenere a quella borghesia agiata che lui ben conosce. I suoi gusti letterari, Bassani, Parise, Morante, Arbasino, Ramondino, oltre a Moravia, di cui non si sente l’erede, tra gli italiani, e Thomas Mann, Musil e Lawrence Durrell tra gli stranieri, sono in parte i suoi modelli.
Mi ha colpito molto la dichiarazione di Montefoschi, “Soffro di totale mancanza di immaginazione”, come anche quella che ha citato nell’intervista a Nucci:
“Gli scrittori devono muoversi nei luoghi loro propri. Chi si maschera da operaio o va a salvare i profughi afghani o ambienta una storia in Bosnia mette il cappello su qualcosa che non gli appartiene. E quel che scrive suona falso”.
Ecco dunque spiegate le trame dei suoi romanzi, a cui anche Dell’anima non mi importa (La nave di Teseo 2022) appartiene. I coniugi Enrico e Carla Rubbiani abitano in un villino di via Mercati, vicino allo zoo, ora Bioparco, in quella zona del quartiere Parioli elegante, silenziosa, appartata. Lei è una quarantenne che sta a casa, gioca a tennis, indossa mocassini e abiti di colore pastello, parla con la figlia ventenne Maddalena e con la madre Donata; lui è un avvocato penalista con studio in viale Mazzini 11. Frequentano i celebri bar di piazza Ungheria, la chiesa di San Bellarmino, l’enoteca Bulzoni, la libreria Manzoni. Strappano le erbacce in giardino, leggono il “Corriere”, passeggiano per villa Borghese, il Parco dei Daini, la valletta dei cani, la Galleria d’arte moderna. Il rapporto coniugale è apparentemente tranquillo, fatto di un quotidiano ripetitivo: dialoghi brevi su argomenti della vita giornaliera, cibi semplici, vini, libri, buona musica, pochi amici: la presenza della figlia che studia, fa molte vacanze, è un’interlocutrice costante e molto critica.
Ma c’è il desiderio del tradimento in agguato. Enrico crede di innamorarsi della bella ed esuberante collega Simona Savignano, che lavora a Milano ma è spesso a Roma dove abita il padre, l’anziano medico con bella casa piena di libri, a via delle Terme Deciane, all’Aventino. Altro quartiere doc, nella geografia cittadina dello scrittore. Fra i due scoppia una specie di passione, che impone a Enrico di lasciare la casa di famiglia e di sistemarsi in un piccolo appartamento a Trastevere. Le cose con Simona non vanno troppo avanti, mentre Carla e la stessa Maddalena gli chiedono di rientrare a casa. Cosa che Enrico farà, innamorato della moglie come non sapeva di essere, e più infelice e sofferente di come percepisce.
I percorsi attraverso la città, i ristoranti, le chiese, il lavoro un po’ trascurato, affidato al giovane Pietro, da poco assunto, i viaggi a Sabaudia, il caldo asfissiante dell’agosto romano, la vacanza a Dobbiaco sono le tracce che permettono allo scrittore di seguire la psicologia un po’ ondivaga di Enrico Rubbiani: un credente, frequenta la chiesa anche se in modo un po’ formale, non si capisce se davvero creda in un aldilà come il cattolicesimo lo descrive e come recita il titolo del libro. Un borghese esausto sembra essere quest’uomo apparentemente privilegiato, molto solo, raffinato nei gusti letterari e musicali, colpito nel fisico:
“Il dolore alla schiena sta crescendo, è diventato un dolore che si espande nel corpo, colpisce le braccia, lo stomaco, il petto”.
Una storia di silenzi, di incomprensioni, di ricerca di un appagamento che non arriva, mentre intorno ai protagonisti la città sembra soffocante, deserta, silenziosa, lontana. La prosa di Montefoschi è sorvegliata, precisa in ogni dettaglio, attenta a cesellare atmosfere, rumori, silenzi, angosce nascoste, turbamenti segreti, paura di provare qualcosa che non si conosce. Per chi come me conosce molto bene i luoghi descritti, è un po’ come tornare a casa.
Una notazione personale: io sono nata nel palazzo di viale Mazzini 11 dove Enrico Rubbiani ha il suo studio, frequento da sempre molti luoghi citati ripetutamente nel libro, e capisco quindi, con la sopraggiunta maturità, l’affermazione di Giorgio Montefoschi, che, accusato dalla critica di “scrivere sempre lo stesso romanzo”, dice che in un luogo del cosmo, sempre quello, come la stessa panchina del Parco dei Daini dove ha ambientato molte scene dei suoi precedenti romanzi, “ogni volta capita qualcosa di diverso”.
Dell'anima non mi importa
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