Il corpo
- Autore: Giorgio Montefoschi
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Mondadori
- Anno di pubblicazione: 2017
Un senso di cupezza, di freddo, di malattia incombente, di sofferenza intima pervade “Il corpo”, l’ultimo romanzo di Giorgio Montefoschi, il diciottesimo della sua produzione narrativa. Attento e brillante giornalista di viaggi e curioso osservatore di atmosfere diverse, nei suoi libri invece si respira volutamente un senso di ricorrente dejà vu, quasi che l’autore volesse ripercorrere sempre le stesse strade, tracciando con diversi personaggi le ubbie, le ridondanze, il vuoto esistenziale che i prototipi di una borghesia romana dai tratti ampiamente riconoscibili mettono in scena pur se con trame diverse, lungo tutto il susseguirsi della sua carriera di romanziere.
Giovanni Dalmati è un avvocato sessantenne, studio in Prati, casa in via Farnese, elegante moglie coetanea, Serena, che nel nome riflette anche il carattere. Il figlio Marco lavora nello studio paterno, è sposato con Lucilla, hanno due maschi e aspettano il terzo figlio, sarà certamente la desiderata femmina. Il fratello più giovane di Giovanni, Andrea, fa il giornalista, un po’ controvoglia, vive ancora nella casa che era dei genitori, nei pressi di Piazzale delle Muse, e ha una relazione non del tutto riuscita con la quarantenne Ilaria, madre single con una bambina, boutique a Vigna Clara, esuberante e sensuale. Malgrado la solidità del rapporto con Serena, la centralità della vita familiare, l’abitudine di trascorrere in una vecchia casa di famiglia in Alto Adige le vacanze, le sicurezze, insomma, di una perfetta vita borghese agiata, Giovanni si innamora in modo dirompente della bella Ilaria, che per lui lascia Andrea e lo asseconda in un rapporto fatto di violenta sensualità. Il corpo della giovane donna suscita nell’avvocato destinato al declino - un disturbo cardiaco lo ha già minacciato - un desiderio irresistibile, anche se il prezzo che deve pagare è enorme: solitudine, disprezzo, senso di colpa, amarezza, decadenza psico-fisica ormai prossima e incombente.
Come anche nei precedenti libri, quello che caratterizza la prosa di Giorgio Montefoschi è una attenzione quasi maniacale ai dialoghi, lunghi ma fatti di frasi brevi, che punteggiano le sue pagine e che ci raccontano le vite intime, i tic, le abitudini linguistiche, i gusti, gli abiti, i luoghi in cui si aggirano i suoi personaggi. Ecco allora le tinte tenui, il filo di perle, le scarpe basse, i golf a collo alto con cui viene descritta Serena, la moglie, solida paladina dell’amore abitudinario, fatto di letture comuni, plaid sul divano, tazze di tè con pane tostato e miele, amore per i nipotini e per la nuora incinta, fedele custode dei pranzi domenicali, con lasagne, arrosto con patate e crostata o Sacher, senza sorprese. Al contrario Ilaria è inquieta, modaiola, tacchi alti, capelli abilmente acconciati, camicetta aperta, una tentazione contro cui Giovanni non ha armi di difesa.
Il triangolo cittadino in cui tutto si svolge, tra Prati, Parioli e Vigna Clara, quella zona ormai giornalisticamente affermatasi come Roma Nord, regna nelle descrizioni accurate, topograficamente perfette, che Giorgio Montefoschi ripete quasi ossessivamente: lo seguiamo al Pincio, davanti all’orologio ad acqua di Villa Borghese, ormai decisamente divenuto uno dei topos letterari per eccellenza nella narrativa di ambiente romano, alla casina Valadier, al Caffè delle Arti, alla Galleria Borghese, al Parco dei Daini. Seguiamo anche i suoi percorsi culturali, la presentazione di un libro sulle palazzine romane degli anni Trenta, quelle progettate dai grandi architetti razionalisti a via Panama, via Archimede, piazzale delle Muse; le marche di whisky preferite, Glen Grant e Ballantine, i Campari soda consumati da Rosati, i gin tonic presi a Vigna Stelluti, le cene al Caminetto di viale Parioli; solo eccezionalmente ci spostiamo all’Aventino, triste perché privo di negozi, o meglio al Ghetto, con l’amico architetto Bruno Levi, seduti per mangiare all’aperto le specialità della cucina ebraica.
La Roma di Giorgio Montefoschi sembra una Roma ferma nel tempo, tutta concentrata in poche strade, ombrose, silenziose, dove quasi non si avverte il traffico né le contraddizioni spaventose che la città sta vivendo. I suoi personaggi tutti concentrati sul privato, sulla autoreferenzialità, sui turbamenti dell’età che avanza minacciosa, al massimo leggono il Corriere della Sera ma non sembrano essere sfiorati da ciò che sta avvenendo nel mondo esterno. Una descrizione perfetta di una borghesia delle professioni che sembra davvero aver smarrito il senso del collettivo, capace solo di contemplare il proprio ombelico, scambiato per il centro del mondo.
Il corpo
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