Emma B
- Autore: Sabrina Campolongo
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2018
Non aspettatevi lingue di fuoco o angeli sterminatori, l’umanità si è già estinta per inedia videopatica: testa bassa sul display dello smartphone e pensieri circoscritti all’esclusiva azione del postare. L’homo sapiens non esiste più, si è involuto in homo boh? senza nemmeno accorgersene: zero slancio vitale e vite vissute per interposta persona (trapper, blogger, influencer, chef pentastellati…come dimenticarsi degli chef pentastellati?). La post-famiglia è la cartina di tornasole della post-società, la società dell’apocalisse silenziosa. La società-riflesso dei social, coltura, alveo e tracimazione di patologismo da DSM, ed è meglio che la pianti qui.
Il fatto è che ho appena letto un romanzo che mi ha dato da pensare allo stato delle cose (familiari-sociali). Si intitola “Emma B”, lo firma Sabrina Campolongo, lo pubblica Paginauno e non si dimentica: in quanto romanzo di compattezza granitica. Dentro ci sta tutto e ci sta senza frizioni: i brividi di commozione e quelli di indignazione. La denuncia, l’ironia, la compassione, la deriva, i nuovi mostri, i padri assenti, le mamme forever young, le figlie viziate e le figlie dai capelli viola, i sogni morti all’alba e quelli che non vogliono morire, il sonno della ragione, l’odio e la poesia.
Togliamoci il pensiero di spendere due righe sulla trama e poi torniamo al titolo, perché ho qualche divagazione da passarvi, per il poco che vale. Allora, Emma è bella, ma è una donna decisamente insoddisfatta. Dissipa la propria vita nella noia della provincia brianzola, ha due figli (Cristian ed Elisa, avuti da due padri differenti, differenti anche come temperamento) e compensa le insoddisfazioni (matrimonio piatto-vita piatta, per esempio) vivendo di surrogati: gioie indotte, che le derivano dai rampolli o dall’acquisto online di costosi capi di abbigliamento a prezzi di occasione. Nemmeno la crociera a cui si trova a partecipare con la famiglia sembrerebbe ridestarla da questo reiterato torpore, finché un trucido giorno, durante un trucido karaoke da crociera, Elisa non rivela insospettate potenzialità canore. Flash! Più che la classica lampadina, nella testa di mamma Emma si accende un vero e proprio occhio di bue: hai visto mai che la timida Elisa (Elisa è una sedicenne timida, tenetelo a mente se mai vi capitasse di leggere questo libro) potrebbe rappresentare il cavallo di Troia per l’accesso al bel (?) mondo della tv e dunque al bel (?) mondo - fama, soldi, vippame vario – di cui lei ha potuto soltanto fantasticare? Dato che Elisa canta stra-bene (il carnaio navigante dei passeggeri le ha riservato un’autentica ovazione), i talent show costituiscono l’inevitabile porta di accesso per la celebrità (gavetta? Ma quando mai!). Nuovo obiettivo di vita: puntare sui talent e puntarvi a ogni costo.
Attenzione: Emma non è mica la mamma di Profumi e balocchi (ai lettori più vecchi sarà capitato di orecchiare qualche strofa di questo brano strappalacrime del melodismo italiano), non è un mamma egoista (insomma) e senza cuore. Emma pensa sinceramente al futuro della figlia, crede davvero che solo attraverso lo show business possa sottrarla alla mestizia di una probabile esistenza provinciale. La cosa grave è che Emma ci mette troppo del suo. Proietta: cioè attribuisce a Elisa frustrazioni, ambizioni, istanze, vie di fuga che non le appartengono. Molto semplicemente: sono di Emma e non sono di Elisa.
Emma è un perfetto prototipo di mamma al tempo dei reality show (cioè di mamma consumistico-desiderante, intrinseca al circuito virtuale dei social e di RealTime), una mamma persino affettuosa, le cui pratiche disfunzionali (spesso non consapevoli) sono semmai derivazione del sistema finto-valoriale ammannito proprio dai social-media (chimere del benessere alla portata di tutti, popolarità come segno distintivo del successo, rincorsa e sfoggio dei brand, irresponsabile adultizzazione dei figli-bambolotto). Se non mi fossi ancora espresso a chiare lettere: Sabrina Campolongo è della razza di Yasmine Reza (“Carnage”, “Felici i figli”) e del primo Herman Koch (“La cena” e di “Villetta con piscina”): muove da un episodio individuale e sottotraccia arriva al paradigma collettivo.
Questo suo “Emma B” è un affresco pubblico/privato sullo sbandamento contemporaneo, un romanzo delicato e furente, capace di sgomento e di pietas al tempo stesso, perché parlando degli aspetti non combacianti della vita, non fa altro che parlare di noi e dei nostri figli (dei pericoli in cui ci imbattiamo, noi e i nostri figli).
Vi dicevo che il titolo mi ha dato da pensare. “Emma B”. Ci ho riflettuto per un po’ e questo è ciò che è venuto fuori:
- Emma B come versione postmoderna (o 2.0?) di Emma Bovary. Dell’antieroina flaubertiana Emma rivive infatti le ugge, quanto le ambizioni solo che per demandata persona (cioè attraverso le aspettative riversate sulla figlia);
- Emma “B” come lettera dichiarativa di un piano B, cioè il piano di riserva della vita di Emma (evito il mio fallimento evitando il fallimento di mia figlia);
- Emma “B” come riferimento traslato a Elisa, Emma n. 2 . Un potenziale doppio materno di successo (Emma-mamma vuole che Elisa diventi una Emma in versione realizzata e soddisfatta).
Resta inteso che si tratta di un giochino alquanto arbitrario e che nessuna di queste divagazioni va presa alla lettera. Mandate a memoria piuttosto quanto scrivo adesso: segnatevi in agenda il nome di Sabrina Campolongo. Ha una scrittura impeccabile e maneggia benissimo le psicologie dei personaggi. E’ una prerogativa che appartiene solo agli scrittori più capaci.
Emma B
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