Eravamo bellissimi
- Autore: Andrea Di Martino
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2019
Quando la moglie è in vacanza e anche la famiglia è via ad agosto e ti tocca attardarti in città, perché la gente non riesce a rinunciare alle amate pillolette. È solo e in vena di amarcord il protagonista di un romanzo breve, cento paginette di Andrea Di Martino, milanese colto e profondo, che scrive tanto e in modo brillante, come si potrà verificare in Eravamo bellissimi, pubblicato a giugno 2019 da Jouvence (98 pagine 6.80 euro).
E va bene che il dottor Rosati gli ha dato del pirla, alla notizia che ha smarrito le chiavi della Panda e che per questo raggiungerà con ritardo la farmacia comunale dove lavora.
Il nostro non è affatto offeso da quella parola, anzi, pirla gli piace, trova che abbia un suono simpatico, perché vuol dire trottola e da piccolo, col padre, gli piaceva lanciare con una funicella quel semplice giocattolo di legno, un oggettino comune nell’infanzia di tanti bambini del passato. Per lui era pirla, altrove in Italia lo chiamavano strummolo, tiriteppola, curlo, pittolo, secondo i dialetti. Ora non ci si gioca più e ammesso che si possa mai trovarne uno di quegli aggeggi, mancherebbe nei bambini di oggi la manualità indispensabile per avvolgere la cordicella nelle scanalature, sfilarla con un gesto secco e lanciare a terra la trottola, imprimendole un movimento rotatorio, impuntato sul chiodo di metallo infisso alla base.
Così nel libro Eravamo bellissimi appare il papà Demetrio, figura chiave in un romanzo di ricordi d’infanzia e di vita: un uomo singolare, fatto di pietra, un blocco di marmo, molto più duro di quello della sua tomba al cimitero, dove il protagonista si ritrova spesso a riflettere e a ricordare il passato. Quella lapide è burro al confronto del carattere paterno: due parole messe in croce a tavola e quando gliele rivolgeva sembravano una sentenza.
Il padre non gli ha mai detto “ti voglio bene”: quanto lo vorrebbe sentire a cinquant’anni e quanto ammette di aver fatto, invece, per non meritare affetto. Ma nell’assoluzione della figura paterna e nella condanna del proprio passato sembra risaltare ancora di più la tenerezza filiale di un ex bambino privato di gesti d’affetto da un genitore tutto d’un pezzo.
Il romanzo è dedicato al papà che veniva dalla “Terronia”, come la trottola che gli aveva regalato. C’era andato solo una volta in quel paese del Sud, a 16 anni e mai più, perché non sopportava gli sguardi fissi dei paesani al passaggio dei forestieri. Bastava uscire di casa per vedersi puntare gli occhi addosso, come a un defilè.
Altro punto di riferimento ricorrente nei ricordi è la Carla, la moglie, al momento in vacanza con le due figlie. Sono in Liguria ad aspettare quanto meno il suo arrivo per Ferragosto, l’unico giorno festivo in cui la farmacia comunale chiude i battenti alla sua clientela anziana, angosciata dalla paura di restare senza farmaci. È magazziniere, apre i pacchi e ripone ordinatamente i medicinali nei cassetti lunghi di metallo grigio. Non ricava uno stipendio da favola, ma ci campa, insieme a quello della moglie, cassiera in un supermercato e della figlia maggiore, tatuatrice nel negozio del fidanzato. La piccola studia ancora. L’anno che viene sarà quello del diploma e lui spera che pur avendo voglia di studiare scelga di andare a lavorare, perché avere una laurea oggi in Italia “non serve più a noi servi”.
Tutto questo, le considerazioni, i ricordi in ordine sparso, il passato, ci viene rivelato mentre cammina nella città desertificata dalle ferie. È a piedi, per via di quelle dannate chiavi, che chissà dove sono andata a cacciarsi.
Della moglie si apprende a pezzi e bocconi, un po’ qua un po’ là nelle pagine. Secondo Andrea, i ricordi belli sono come il Buscopan, il rilassante dello stomaco che prende dopo aver litigato con Carla, perché la moglie spende e accumula.
Se il carattere del padre era “tosto” è forte il ruolo di quella donna nel menage familiare. È centrale, basilare. Ritornano spesso accenni ad una propensione per l’uomo tribale a letto. A suo dire lei adora quel genere di comportamento sessuale.
Sempre poco alla volta, si fa strada un Di Martino narratore anche di un’Italia che non esiste da tempo, quella delle biglie di vetro, delle cento lire con cui ci compravi tanto, delle cinquanta lire, delle dieci lire in lega leggera giuste giuste per ostruire il rilascio delle palline del calciobalilla, per far durare le partite quanto volevi, anche un’ora.
Si scopre che il protagonista ama l’ordine esterno, perché afflitto all’opposto dal disordine interno. È intrinseco, ce l’ha nel cervello. Pensa solo a se stesso, di quello che resta se ne infischia, a meno che il mondo non gli venga a rompere i c…i sotto forma di cartelle esattoriali da pagare. A quel punto, anche i più menefreghisti s’incazzano.
Va incontro anche a qualche contraddizione (nessuno è perfetto). Abbiamo detto - l’ha scritto lui - che Demetrio gli ha regalato una trottola di legno, ma in un altro passaggio lamenta che il papà non gli ha mai fatto un regalo in vita sua, spendeva tutto in sigarette, fumate compulsivamente. La coerenza non è il suo forte: cosa volete da uno che ha perso le chiavi della Panda e rischia di restare a Ferragosto in una città vuota. Le troverà?
Eravamo bellissimi
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