Febbre
- Autore: Giulio Minghini
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Piemme
- Anno di pubblicazione: 2011
La silhouette azzurro flou di copertina sembra annunciare notti bianche e fantasmi di donna. E difatti “Febbre” - romanzo d’esordio di Giulio Minghini (Piemme, 2011) - contempla entrambe le categorie: soltanto che tratta di morte più che di vita, di decadimento più che di godimento, di afasia più che di rapporto. Il sottosuolo nel quale ci precipita è quello degli incontri sessuali all’epoca delle video-chat, un accrescersi compulsivo di identità inventate, effimere, confuse, fino alla dispercezione. L’eroe insonne di questa discesa nell’inferno dei corpi e delle relazioni è un traduttore italiano di stanza a Parigi (fake Delacero), intellettuale molto poco organico, deluso dall’Italia e dalla vita. Oltre che nella scrittura - asciutta e ficcante (in molte pagine quasi superlativa) - il talento di Minghini si riconosce nell’approccio non-precettista alla storia. In altre parole, le premesse per imbastire l’ennesimo pistolotto-monito sulle neo dipendenze c’erano tutte, ma Minghini dribbla con eleganza, non si lascia tentare, maneggia il suo plot con l’impertubabilità del cronista della notte, l’aplomb dell’entomologo, contraltare al corposo campionario di periodi-aforisma: eleganti, evocativi, lapidari, spessi come roccia (“Siamo corpi in decomposizione venduti online”, “Ho bisogno di vacanze. Da me stesso”), e un incipit che ci sbatacchia in media res della vicenda, senza tanti complimenti:
“Mi sono vomitato, trasformato, creato, e più volte. Questa era la mia dose: cinque bottiglie di Wiborowa alla settimana, tre pacchetti di Marlboro senegalesi al giorno, due Prozac. Lexomil per dormire, tre quarti. L’ultimo quarto appena sveglio, un attimo prima di accendere il computer”
In ultima analisi, “Febbre” è un romanzo cupo, doloroso, sconsolante. Il diario di un curioso delle donne più per noia che per reale interesse, un “bestiario” infinito di signore sole (psicologhe, giornaliste, maestrine, studentesse e chi più ne ha più ne metta), immancabilmente irrisolte e alla ricerca di se stesse, anche attraverso il dispendio sessuale. Un romanzo di area esistenzialista, incisivo e perentorio come un pugno allo stomaco, di quelli che ti stendono, ti stordiscono, difficili da dimenticare. La narrativa italiana ha trovato in Minghini il suo esponente più spudorato, intelligente, capace, scomodo, sincero.
Febbre
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