Fiori di tiglio nei Balcani
- Autore: Gordana Kuić
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Narrativa Straniera
- Casa editrice: Bollati Boringhieri
- Anno di pubblicazione: 2016
Con “Fiori di tiglio nei Balcani” (Bollati Boringhieri, 2016, titolo originale Cvat lipe na Balkanu, traduzione di Manuela Orazi) la pluripremiata scrittrice serba Gordana Kuić prosegue con la saga famigliare dedicata alle quattro sorelle Salom iniziata con il romanzo “Il profumo della pioggia nei Balcani” (Bollati Boringhieri, 2015).
L’autrice, nata a Belgrado, laureatasi in Lingua e Letteratura inglese all’Università di Belgrado e allo Hunter College di New York, ha pubblicato il volume dedicato “A mio padre, Metodije Kuić” nel 1991. Il romanzo dai toni ironici e brillanti, ora edito nella collana Varianti della casa editrice torinese, era rimasto a lungo nel cassetto dell’editore jugoslavo, perché i tempi non erano pronti per una critica aperta al regime del dittatore Tito, rivoluzionario capo di stato jugoslavo.
Le sorelle Salon, Blanki, Riki, Klara e Nina, nate in una famiglia ebrea di origine sefardita, sono sopravvissute agli orrori e i drammi della II Guerra Mondiale. Scomparsi i manifesti minacciosi e le croci uncinate, ora è la stella a cinque punte a incutere paura.
“Alla fine la guerra era finita, ma la fame no”.
La Belgrado ferita si stava curando le ferite lasciate da quattro anni di occupazione tedesca. Blanki ricordava la gioia immensa di quello splendido ottobre in cui i panorami delle strade belgradesi, benché disseminate di macerie, non offendevano la vista. Piena di sole quella città sofferente, lacera e calpestata brillava nel riflesso delle poche foglie gialle che le bombe non avevano polverizzato o i venti portato lontano. Solo più tardi Blanki aveva avvertito le imperfezioni della felicità postbellica: le case sbriciolate e distrutte, gli ammassi di rovine da cui spuntavano letti e culle, la conta degli amici sopravvissuti e di quelli che erano stati portati via, trattenuti e incarcerati per qualche crimine mai commesso. Come Marko Korać, il marito di Blanki prima in prigione e poi ai lavori forzati a Bor. Marko, il padre della piccola Vera, soprannominata Inda (la stessa autrice), un tempo ricco commerciante che aveva una grande azienda a Sarajevo, un suo giornale, alcuni cinema di prima visione, una tipografia, una ditta di spedizioni e molte automobili. “Un uomo onesto”, cui gli ustascia avevano sequestrato tutto quello che possedeva, imprigionato perché considerato “nemico del popolo”. Tra le rovine di Belgrado si nascondeva ancora qualche casetta silenziosa, quasi vergognosa di essere arrivata intatta alla fine della guerra, tra le consorelle mezze morte. Una di queste era la casa dove vivevano Blanki, Riki e la piccola Inda sita in via Njegoševa 17.
“In tutto quel male erano stati fortunati, pensava Branka: non solo erano sopravvissuti, ma avevano ancora un tetto sopra la testa”.
Branka e Riki, la quale prima del conflitto era stata la beniamina della società belgradese, si trovavano tra l’incudine e il martello, non appartenevano né al passato né al presente. Non al passato, perché entrambe avevano sempre lavorato e neanche al presente
“perché non facciamo parte di questa gente nuova”.
Il vento nuovo giunto nel dopoguerra con la sua forza distruttrice dei cambiamenti aveva spazzato via per sempre le tessere del mosaico rappresentate dalla vita precedente. Eppure
“la via d’uscita esiste: esiste sempre finché siamo vivi, e noi lo siamo ancora. Ricordi, sei stata proprio tu a dirmelo, quando da un momento all’altro ho perso il lavoro, la carriera e l’uomo che amavo. Non dimenticare che ora abbiamo più bisogno che mai della tua serenità, sorellina. Ricordati quante volte hai sostenuto Marko quando era distrutto. Non puoi perdere l’ottimismo: l’ottimismo è la tua sostanza primaria, la forza di tutte le mogli e le madri sefardite. Io, non essendo né moglie né madre, posso permettermi di essere furiosa, ma per te la tenerezza e il calore sono quasi una professione”.
Il futuro era simboleggiato dalla piccola Inda e da quella nuova pianta di tiglio che sarebbe stato interrata davanti al marciapiede di via Njegoševa 17.
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