Fiume. L’avventura che cambiò l’Italia
- Autore: Pier Luigi Vercesi
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Neri Pozza
- Anno di pubblicazione: 2017
Un volume piccolino, ma un saggio storico prezioso. È “Fiume. L’avventura che cambiò l’Italia”, pubblicato a novembre da Neri Pozza (un pocket di 160 pagine, euro 12,50), a firma del giornalista e scrittore di storia Pier Luigi Vercesi.
La prepotente ascesa alle cronache di Fiume, un porto sconosciuto fino ad allora (1919), affacciato sull’Alto Adriatico a sud est di Trieste. Dal niente alla ribalta della scena politica internazionale, per l’attenzione con cui tutte le potenze vincitrici guardavano dopo la Grande Guerra a quella città, prima compresa nel Regno d’Ungheria ma la cui popolazione, in maggioranza di etnia italiana, si era espressa in prevalenza per l’annessione all’Italia.
Il 17 novembre 1918, i granatieri grigioverdi vi avevano intanto sloggiato i reparti serbi e croati che progettavano di favorire uno status quo a vantaggio del costituendo Regno dei Serbi, dei Croati e degli Sloveni (la futura Jugoslavia).
Di diritto, quella enclave avrebbe dovuto essere riconosciuta al Regno d’Italia, al di là di qualsiasi atto di forza e a prescindere da ogni accordo, sebbene il destino di Fiume non fosse stato indicato nel Patto di Londra del 1915, in cui la città non era stata citata. Ma non poteva che essere italiana, in virtù del principio della autodeterminazione dei popoli, affermato dal presidente americano Wilson, che invece, insieme alla Francia, si stava dimostrando il più ostile alla soluzione italiana.
I progetti occulti e le mire delle nazioni vincitrici, ispirate da obiettivi commerciali e strategici, si stavano facendo beffa delle ragioni e dei sentimenti dei fiumani.
Ostacolati pesantemente dai contingenti alleati – in gran parte indocinesi delle forze armate francesi – i nostri soldati accumulavano rabbia per l’impotenza del Governo nella Conferenza di pace di Parigi e c’era una gran voglia di menare le mani contro tutti. I più turbolenti erano gli ufficiali giovani dei granatieri, tanto che Roma dispose l’avvicendamento del reparto scelto con la Brigata Regina, più fedele al potere regio.
Arrivò l’ordine di consegnare Fiume ai fanti e di trasferirsi a Monfalcone e Ronchi. I tenentini avrebbero preferito restare e arruolarsi nella Legione Fiumana, che si andava formando in città, ma si rendevano conto che sarebbe stato considerato un grave atto di diserzione.
A Ronchi c’era Gabriele D’annunzio, mitico eroe di guerra. Gli si rivolsero e non dovettero insistere, perché accettò d’impulso l’impresa. Il 12 settembre 1919, la sola presenza del Vate bastò a forzare in maniera non violenta tutti i posti di blocco italiani predisposti lungo il percorso. Fiume o morte! Una colonna rumorosa di ufficiali e soldati, ormai tutti disertori, sciamò nel perimetro conteso. Era cominciata l’avventura fiumana.
Aveva 56 anni Gabriele D’Annunzio, il poeta, drammaturgo e scrittore, il trascinatore di folle, l’uomo d’azione e di guerra, per mare (la Beffa di Buccari) nell’aria (i voli su Cattaro e su Vienna) e a terra (era ufficiale dei Lancieri di Novara). Tre promozioni per meriti sul campo, altrettante ferite, una medaglia d’oro, tre d’argento, due di bronzo al valor militare.
Le immagini, a partire da quella di copertina, lo ritraggono minuto, in divisa da tenente colonnello di cavalleria, circondato da ufficialetti snelli, eleganti nelle belle uniformi, con le cinture portagiberne di cuoio marrone a bandoliera e i chepì di sbieco sulle ventitré. Gran bella gioventù, forgiata dall’azione.
Con lui, furono i primi protagonisti di sedici mesi di esaltazione, follia e modernità, raccontati molto bene in questo libricino agile ma denso. Partirono in mille o poco più, divennero quarantamila “teste di ferro”, secondo la retorica del Vate, accerchiato da truppe connazionali nell’angusto territorio della Reggenza Italiana del Carnaro (da lui così battezzata), per l’ostilità del Governo di Roma, indispettito da un colpo di mano che danneggiava l’Italia sul piano internazionale.
Era nato un giovane Stato futurista, minuscolo ma democratico, di uguali e di liberi, dove tutto era ammesso, ogni passione vi trovava cittadinanza, ogni trasgressione era tollerata, ogni fantasia ben accetta, il sesso disinvolto e disinibito era la regola, l’omosessualità non costituiva scandalo. Era stata adottata una carta costituzionale che riconosceva la sovranità del popolo, ma il potere andava alla modernità, in un melting pot di ideologie, unificate dall’anticonformismo, dall’arte d’avanguardia, dal sovvertimento delle convenzioni, dalla sfida ai benpensanti.
Una repubblica che anticipava Che Guevara, il ’68 e la protesta antimperialista, il terzo mondismo e la sfida alla globalizzazione. Fiume si è colorata più di antagonismo che di fascismo, tanto che Mussolini prese le distanze e la Russia dei Soviet fu invece l’unica a riconoscerla come Stato. L’ostilità di Roma ebbe la meglio, nonostante le tante defezioni di ufficiali e soldati tra le forze che assediavano la Reggenza. Alla firma del Trattato di Rapallo, che allontanava Fiume dall’Italia, il generale Caviglia ebbe via libera e piovvero bombe. Alle 13 del 28 dicembre 1920, D’Annunzio firmò la resa. In cinque giorni, caddero 22 legionari, 25 militari e 7 civili. I feriti furono tanti.
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