Gli anni belli
- Autore: Marco Proietti Mancini
- Anno di pubblicazione: 2013
Una storia d’amore a Roma tra le due guerre
Il prossimo 21 marzo 2013 sarà pubblicato presso la casa editrice romana Edizioni della Sera l’ultimo romanzo di Marco Proietti Mancini, scrittore abile nel saper ritrarre con poche ed efficaci frasi un’emozione, una situazione e rendere la storia vivida, indimenticabile.
Partendo dai ricordi di famiglia e da quel retaggio che ciascuno di noi porta con sé, l’autore racconta gli anni belli di Benedetto (Bebbè) ed Elena (Elenù) Properzi, una storia d’amore a Roma tra le due guerre (come recita il sottotitolo del libro) in una città molto ben descritta che ricorda i dipinti di Mario Mafai.
“Gli anni belli sono quelli in cui le speranze danno la forza per superare le paure. Quelli in cui si ha dentro una energia che permette di reagire, di costruire, di vivere felici anche in mezzo a difficoltà enormi.”
ci confida Marco.
Se in “Roma per sempre” Proietti Mancini aveva condotto il lettore alla scoperta di una città e di un popolo dalle molte sfaccettature, qui lo scrittore testimonia la forza di volontà e la tenacia di un giovane, giacché “non esiste uomo che non lasci orme camminando sulla sabbia”. Benedetto inizia a lasciare quelle orme durante una notte senza luna, buia e serena della primavera romana del 1933, mentre guarda il cielo e si gode questo tappeto di stelle dal ballatoio che corre in alto, sospeso sul cortile del palazzo di via dei Marsi nel quartiere di San Lorenzo, dove non vive nessun borghese, tutti quelli che vi abitano sono proletari.
“San Lorenzo è come una cittadella fortificata, una città nella città, ma non ha mura per proteggersi, solo il coraggio dei suoi abitanti, solo la loro opposizione al regime e ai suoi riti”.
A Roma che ha sempre troppe luci, troppi lampioni accesi, è quasi impossibile riuscire a vedere gli sciami di stelle che invece a Subiaco, paese natale di Benedetto, sembrano esplosioni di fuochi artificiali fissati sul nero. Giù nel cortile la varia gente del quartiere è uscita da casa e si gode una boccata d’aria: gli uomini in piedi, fermi in gruppo tra la strada e il cortile, le mogli rimaste in casa a rigovernare, mentre le vecchie si sono riprese le loro seggiole impagliate. Solo su quel ballatoio che assomiglia a un loggione teatrale, Benedetto “può ritrovare nelle stelle l’orientamento della sua vita, quella direzione che sentiva di dover seguire sin da bambino” lasciandosi andare a ricordi nostalgici e malinconici.
“Anche per me i ricordi dell’infanzia sono malinconici, ma solo quelli. E sono quelli i ricordi a cui nel romanzo riferisco la malinconia di Benedetto, che da quando aveva 14 anni si era dovuto allontanare da casa, dagli amici e dalla famiglia. A Benedetto basta poco, anche solo una sfumatura di colore o un profumo, per richiamare la nostalgia della sua infanzia” spiega l’autore. Il ragazzo non sa ancora che quel giorno sarà fondamentale per il seguito della sua esistenza: è arrivata la cartolina precetto per la leva militare e tra poco si scambierà il primo bacio d’amore con Elena, la figlia primogenita del suo padrone di casa, il sor Paolo Quattrini. Su quel terrazzo Benedetto sta scegliendosi il futuro, ricordando il passato e tenendo bene in mente il presente. Dove il futuro sarà rappresentato dai due anni di leva e poi un’esistenza da dividere con Elinù. Il passato è l’insieme dei ricordi che riguardano l’abitazione a Subiaco con la presenza di mamma Antonia la Campusantara e le sue carezze, l’odore del pane e del latte, gli ammonimenti di Papà Bittuccio il minatore e i cinque fratellini. Il presente riguarda il suo lavoro come marmista presso l’impresa di costruzioni dell’ingegner Criscuolo, suo principale, dove lavora i marmi e la pietra “per costruire i palazzoni con cui Mussolini sta riempiendo tutta Roma”.
Subiaco resterà sempre il “luogo dell’anima di Benedetto”, ma il giovane sa che la sua vita oggi e domani sarà sempre a Roma, in questa città che si sta espandendo e che l’ha accolto da ormai cinque anni. Benedetto non reciderà le sue radici, non cancellerà la sua memoria e le impronte che la Storia gli ha impresso dentro, profonde: insegnerà ai suoi figli ad amare quelle radici, gliele farà conoscere e gli racconterà la sua storia da bambino.
“Il romanzo non è solo un omaggio ai miei genitori o almeno non solo a loro. Non l’ho scritto e non mi è nato dentro con questa intenzione. Se fosse stato così, avrei rischiato quella autoreferenzialità di famiglia di cui sono affetti tanti scrittori che credono che la storia della loro famiglia sia materia sufficiente a riempire le pagine di un libro. Sicuramente in questo romanzo ci sono tante storie della mia famiglia che mio padre mi ha raccontato, ma sono solo una minima parte rispetto a un contesto narrativo in cui ho voluto rappresentare tutto un periodo, tutto un ambiente sociale”.
L’autore racconta quella storia semplice e meravigliosa di “anni belli” ai suoi lettori ed è una storia vera, reale e non assomiglia alle rappresentazioni che avvenivano durante le sagre paesane alle quali il piccolo Benedetto assisteva issato sulle spalle del padre nella piazza di Subiaco.
“La storia tramandata dalle persone «normali» è l’unica storia «vera», quella non manipolata e non raccontata da altri, da qualcuno che spesso quella storia non l’ha vissuta, ma l’ha ricostruita. In pratica raccontare la storia che ci è stata trasmessa dai padri, dai nonni, dagli anziani, significa non imparare solo la storia di chi ha vinto, ma ritrovarsi dentro tutto, anche la storia delle sconfitte e degli errori. Perché la vita dei popoli è fatta anche di sbagli”.
Gli anni belli. La storia di un amore a Roma tra le due guerre
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