I prigionieri italiani in Russia
- Autore: Maria Teresa Giusti
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: il Mulino
- Anno di pubblicazione: 2014
Prigionieri dei russi nel 1943-45 ed oltre: nuova edizione del saggio di Maria Teresa Giusti
Per molte generazioni dopo il secondo dopoguerra del 1900, il dramma dei dispersi in Russia è stato una realtà ben nota, quando non direttamente e familiarmente dolorosa. I grandi numeri (quasi 95mila militari italiani prigionieri dell’Urss dopo la disfatta sul Don e dei quali non si sapeva più niente, per diversi motivi) facevano sì che tante famiglie avessero un congiunto coinvolto. Quel “non ritorno” aveva gettato e teneva nello sconforto mamme e mogli disperate, padri, fratelli e sorelle. Non sorprende che ancora nel 2003, quando la docente di storia dell’Università di Pescara Maria Teresa Giusti ha dato alle stampe per il Mulino una ricerca su “I prigionieri italiani in Russia”, sia stata subissata di lettere che chiedevano aiuto per conoscere la sorte dei propri cari. Appelli ai quali ha potuto dare risposta in qualche caso, ma che in gran parte sono rimasti suo malgrado inevasi. Il destino di migliaia di militari dell’Armir è destinato a questo punto a restare sconosciuto.
A fine 2014, la prof.ssa Giusti ha pubblicato una nuova edizione, con lo stesso titolo e sempre per la casa editrice bolognese (496 pagine 29 euro). Il lavoro tiene conto di quanto ulteriormente si è potuto conoscere di tante migliaia di giovani connazionali. Tuttavia, in questi dieci anni l’aggiornamento si è scontrato con due fattori che hanno frenato approfondimenti e contributi. Da una parte, la scarsezza di nuova memorialistica. Avendo già scritto molto sul tema, si deve tenere conto dell’imbarazzo di trattare un conflitto che gli italiani hanno non solo perso ma che hanno iniziato da aggressori. Solo i rovesci del dicembre 1942 e gennaio 1943 hanno trasformato i nostri in vittime, quali prigionieri inermi.
Seconda ragione di difficoltà. Dopo l’inedita collaborazione all’atto della caduta del regime sovietico, si è andati incontro a una nuova chiusura degli archivi in Russia e le fonti si sono inaridite. Le autorità russe sono tornate reticenti.
E resta il dramma di una prigionia resa difficile dal gelo, dalla fame, dalle distanze, dalle carenze logistiche della Russia in guerra, dall’infuriare di epidemie nelle precarie condizioni igienico-sanitarie che pativano anche i cittadini, negli enormi continenti in cui era suddiviso l’universo concentrazionario sovietico.
Ancora grandi cifre che parlano da sole: si calcola che tra estate 1941 e fine 1942 siano stati inviati sul fronte orientale 230mila italiani. I russi hanno fornito finora 64.500 nomi di prigionieri, 38mila dei quali morti nei campi, 22mila rimpatriati tra 1946 e 1950 (alcuni perfino nel 1954), 2mila ignoti, 2500 da cancellare perchè doppioni. Il Ministero italiano della Difesa indica però circa 90mila posizioni individuali di sorte ignota, di cui conserva gli incartamenti: militari che in una o l’altra delle varie fasi della spedizione non hanno fatto ritorno dalla Russia.
Nel complesso, dal lavoro emerge un ampio e chiaro quadro della vicenda collettiva, dalla cattura al rimpatrio. Intanto aiuta a comprendere meglio l’atteggiamento delle autorità sovietiche: gli italiani erano invasori ma la maggior parte non aveva scelto di partire per la Russia. I nostri furono perciò doppiamente vittime: del regime fascista, che li aveva gettati con delittuosa faciloneria nel vortice della guerra e della giurassica burocrazia sovietica, non malvagia, ma sicuramente diffidente, incurante e incoerente, perciò di fatto ostile e negativa.
Sfortunati tra gli sfortunati risultarono quelle migliaia di ex internati militari italiani nei lager che vennero “liberati” dall’Armata Rossa avanzante, ma deportati in Russia dopo l’occupazione della Germania. Non si capisce la ragione di questa doppia prigionia, visto che fin dall’ottobre 1943 l’Italia antifascista cobelligerava militarmente con gli Alleati e l’URSS. Addirittura, il comunista Togliatti era vicepresidente del Consiglio dei Ministri regio, dopo la svolta di Salerno dell’aprile 1944, quando con l’assenso dell’Unione Sovietica e di Stalin in persona il PCI era entrato con gli altri partititi del CLN nel secondo governo del maresciallo Badoglio.
Almeno altri 1300 di questi sventurati soldati perirono nei gulag. Attendono di sapere ancora perché.
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