Il bambino e la guerra. La storia non ci insegna nulla, ma ci ricorda tutto
- Autore: Vittorio Carreri
- Genere: Storie vere
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2019
Il soldato tedesco ubriaco entrò in cucina, dove la famiglia era seduta a tavola. Puntò la canna della pistola sulla fronte della madre. Il piccolo Vittorio, otto anni, le corse in braccio per difenderla. Il 1944 è stato il più difficile della seconda guerra nel Mantovano, nelle retrovie lontane della Linea Gotica, dov’era attestato il fronte in Italia. L’anno peggiore del conflitto: è così che lo ricorda quel piccolo, oggi un bravo medico ultraottantenne. È lui, Vittorio Carreri, l’autore del libro biografico, testo narrativo e testimonianza storica Il bambino e la guerra, pubblicato nel 2019 dall’editore Sometti (120 pagine, numerose foto in bianconero e seppia).
“La storia non insegna nulla ma ci ricorda tutto”, tocca agli anziani raccontare del passato ai giovani: di questo il dott. Carreri è convinto, perché quanto si è già verificato possa essere di lezione per il presente e aiutare a non ripetere gli errori collettivi irreparabili che hanno provocato lutti dolorosi.
“Dio non voglia che noi si debba essere chiamati ad usare le armi contro un nemico”, confessa d’aver pensato, soprattutto durante il servizio militare. Lo spettro di una guerra, la terza, incombeva su quanti vestivano una divisa al tempo della leva obbligatoria, fino alla caduta del blocco sovietico, una quarantina di anni fa. Non ci sentivamo affatto uno strumento bellico e cercavamo dentro di noi le tracce di un’aggressività che non riscontravamo minimamente.
Carreri tiene a precisare d’avere scritto tredici romanzi, in gran parte autobiografici. Nel quattordicesimo, si è dedicato alla guerra 1940-45, come l’ha vista allora, coi suoi piccoli occhi e la mente inesperta, ma aperta e desiderosa di comprendere. Episodi del conflitto erano presenti anche nei lavori precedenti, ma nell’anziano medico e maestro di medici si è fatta strada con forza l’esigenza di soffermarsi sulla guerra in qualcosa che fosse più di un romanzo, una specie di memoir, una riflessione utile a comprendere il nostro tempo. Per conseguire l’obiettivo, ha messo a frutto il dialogo con i quattro nipoti e la comunione di spirito con l’amico di sempre, “Cicci” Tellini, scomparso prematuramente, ma autore anche lui nel 2017 di un libro di memorie d’infanzia.
Vittorio è nato nel 1936 e ha vissuto i primi vent’anni a Bigarello (Mantova), in una villetta non distante dalla sede dell’importante impresa commerciale paterna, agroalimentare e zootecnica.
È quell’area della pianura padana lo scenario dei suoi primi dieci anni, tra i più tormentati del Novecento, che gli hanno lasciato ricordi ancora ben impressi.
Prima che l’Europa e il mondo piombassero nell’incubo del fuoco dal cielo, dal mare e in terra, la vita per un bambino era semplice dalle sue parti, “felice”. Educare un piccolo o una piccola italiana era un compito affidato alle famiglie, alla scuola, alle parrocchie e in qualche misura alle organizzazioni del partito fascista. In provincia, si frequentavano le elementari in classi spesso promiscue, con bimbi di varie età insieme e non pochi ripetenti. Le aule erano ricavate in locali in affitto, sistemazioni molto precarie, male o per niente riscaldate. Altri tempi.
L’autore descrive il mondo rurale e domestico in cui è cresciuto, ma l’ingresso dell’Italia in guerra nel giugno 1940 rompe questa specie d’idillio con la natura e con le stagioni, pur non portando grandi sconvolgimenti nel Mantovano, a parte i chiamati alle armi, le restrizioni alimentari e le costanti adunate organizzate dagli apparati del regime. In casa Carreri erano ospitati sfollati, comprese due gemelle milanesi adolescenti e questo segnala che i grandi centri erano diventati un obiettivo per i bombardamenti indiscriminati del nemico, che tuttavia non si era visto da loro fino all’armistizio dell’8 settembre 1943, quando si era reso evidente che portava una divisa tedesca, imbracciava armi temibili e gridava ordini rauchi.
Per qualche giorno, erano passati militari italiani in fuga verso il Centro-Sud, cercando di sottrarsi all’occupazione germanica del Nord. Bussavano a case e fattorie per chiedere abiti civili e lasciavano indumenti militari, ch’era stato necessario sotterrare in un profondo scavo, in aperta campagna, per non farle scoprire ai tedeschi e scampare alle rappresaglie contro chi aiutava i “disertori”.
Dei due anni coi tedeschi in casa e di guerra partigiana, il piccolo ha esperienze indirette. Gli alleati erano soltanto aerei in volo, a parte il cacciabombardiere che si era divertito a mitragliare gli scolaretti di ritorno in una strada di campagna. Da quello che scrive, più dei soldati nazisti facevano paura i fascisti delle Brigate Nere repubblichine, sempre con le armi spianate. A parte “quel” tedesco. Al gesto del bimbo di difendere la mamma, l’ubriaco si era messo a ridere ed era andato via. Il padre di Vittorio aveva segnalato l’episodio al Comando e con grande meraviglia di tutti un ufficiale fece schierare l’intero reparto in più file nell’aia, chiamò il soldato colpevole fuori dai ranghi e gli rifilò una sgridata severa, in tedesco e in italiano, annunciando una punizione durissima.
Pare che il militare che aveva fatto irruzione in casa fosse altoatesino, un ex connazionale quindi, durante il ventennio. Si dimostravano i più ostili di tutti, con gli italiani.
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