Il contesto
- Autore: Leonardo Sciascia
- Genere: Gialli, Noir, Thriller
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Adelphi
- Anno di pubblicazione: 2006
Il contesto, pubblicato nel 1971 da Einaudi e oggi edito per Adelphi (2006), è un “giallo” del genere poliziesco che, nel clima di suspence, rivela un’amara scoperta: il potere e l’opposizione s’intrecciano per sostenersi reciprocamente in una componenda demoniaca.
Nella Nota di chiusura si apprende che si tratta di una “parodia” quale "travestimento comico di un’opera seria" che lo scrittore aveva pensato ma non tentato di scrivere con "l’utilizzazione paradossale di una tecnica e di determinati cliché".
Siamo nel deterioramento delle istituzioni democratiche del Paese, agli inizi degli anni Settanta, che, alimentando il pessimismo, non fa scorgere possibilità di rigenerazione. Del resto, qualche anno dopo, le ammissioni di Sciascia a Marcelle Padovani non lasciano dubbi:
"Avevo l’intenzione di scrivere un libro, sia sulla situazione politica italiana, sia su quella mondiale, ma il progetto era piuttosto vago e io tiravo per le lunghe senza realizzarlo. Per divertirmi, mi sono accinto a scrivere un romanzo “poliziesco”, la storia di un marito ingiustamente accusato di tentato avvelenamento della moglie, e alla fine ne è risultato Il contesto, cronaca di una desertificazione ideologica e ideale che tuttavia in Italia era solo ai suoi inizi".
Nel corso degli eventi è il ministro a riassumere in una battuta il patto luciferino quale espressione di un potere che ingloba ogni dissenso di opposizione e contestazione:
"Il mio partito che malgoverna da trent’anni, ha avuto ora la rivelazione che si malgovernerebbe meglio insieme al Partito Rivoluzionario Internazionale; e specialmente se su quella poltrona – indicò la sua dietro la scrivania – venisse ad accomodarsi il signor Amar".
L’ambientazione della vicenda è un paese del tutto immaginario e l’accenno all’abitazione dell’ambasciatore d’Italia fa pensare a un paese straniero, metafora del potere nel mondo sempre più digradante nella forma mafiosa. Vi è architettata la storia di un uomo, il farmacista Cres, che in rapida successione va uccidendo giudici.
Il poliziotto che indaga sull’omicidio del giudice Vargas, primo di una lunga serie di magistrati, si chiama Rogas ("dalla seconda persona del verbo latino ’rogo’", spiega lo scrittore).
Ecco i tratti essenziali della sua personalità: l’ostinazione a garantire la legge e l’attitudine all’interrogazione per la la ricerca della verità. Ha "dei principi, in un paese in cui quasi nessuno ne aveva" e onestamente conduce le indagini mosso dal bisogno di conoscere prima di tutto l’uomo nel presunto colpevole, dialogando con lui.
Amante della cultura, è lettore colto e raffinato; frequenta gallerie d’arte ed è amico di scrittori: insomma, un solerte detective ritenuto intellettuale dai colleghi.
Fastidioso e di disturbo il suo agire, non gradito in un Paese refrattario alle idee e ai valori che, ancorché proclamati e conclamati, vengono quotidianamente irrisi. Il suo convincimento è che Cres agisca per vendetta, essendo vittima di un errore giudiziario: condannato per tentato uxoricido sulla base di una serie di indizi che potevano essere stati predisposti dalla moglie.
È Sciascia a darne spiegazione nella nota di chiusura del libro, dicendo che l’idea gli era stata suggerita da un fatto di cronaca:
"Un tale accusato di tentato uxoricido attraverso una concatenazione di indizi che mi parvero potessero essere stati fabbricati, predisposti ed offerti dalla moglie stessa. Intorno a questo caso, mi si delineò la storia di un uomo che va ammazzando giudici e di un poliziotto che, a un certo punto, diventa il suo alter ego".
I superiori trascurano la sua pista e spingono il poliziotto a indagare nell’ambito della Sinistra extraparlamentare. Quale lo scopo? L’incontro di Rogas con lo scrittore Nocio, vicino all’ultrasinistra, e con Galano, direttore della rivista "Rivoluzione permanente", apre scenari inquietanti sul "contesto": una società unidimensionale, quella inquisitoriale del grande Leviatano, senza più opposizioni interne e priva del giusnaturalismo su cui si fondano le leggi dello Stato.
In altri termini, la ragion di Stato coincide con quella del partito. A dominarla è la logica del potere che si autoconserva come forza coercitiva e si autogiustifica come religione di Stato sacralmente infallibile.
In tal direzione vanno le parole del presidente della Corte Suprema Riches dette a Rogas:
"Il sacerdote può anche essere indegno, nella sua vita, nei suoi pensieri: ma il fatto che è stato investito dell’ordine, fa sì che ad ogni celebrazione il mistero si compia. Mai, dico mai, può accadere che la transustanziazione non avvenga. E così è un giudice quando celebra la legge: la giustizia non può non disvelarsi, non transustanziarsi, non compiersi. Prima, il giudice può arrovellarsi, macerarsi, dire a se stesso: non sei degno, sei pieno di miseria, greve di istinti, torbido di pensieri, soggetto a ogni debolezza e a ogni errore; ma nel momento in cui celebra, non più. E tanto meno dopo".
Il dilemma inquieta: servire uno Stato governato da un’associazione a delinquere o dichiarargli guerra? È a questo punto che Rogas avverte il bisogno del passaggio da una condizione di fedele uomo delle istituzioni rispetto a una ribellione. Trovandosi difronte a Cres, che sta per uccidere il Presidente della Corte suprema, decide di non arrestarlo per una dinamica che lo porta a identificarsi con lui e a schierarsi dalla sua parte:
"Rogas svolgeva nella mente quel che al posto di Cres avrebbe fatto, quel che Cres avrebbe dovuto fare".
La scoperta di un complotto attraverso il quale, nell’indifferenza generale, viene consumato un golpe, lo porta a uccidere Amar, il segretario generale del Partito Rivoluzionario Internazionale e anch’egli paga con la vita. Ambigua la conclusione del romanzo. Quale la versione ufficiale sull’assassinio dei due? La verità, celata all’interno di un libro, il Don Chisciotte, è lasciata in sospeso tra due ipotesi.
Il contesto. Una parodia
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