Robert Lowell (1917-1977), discendente di una delle più antiche e stimate famiglie bostoniane, scrisse versi caratterizzati da una forte tensione all’autoanalisi e alla denuncia, e per tale motivo venne considerato il fondatore in America della poesia “confessionale”. Alla radice della sua produzione poetica i critici hanno sempre rilevato un impulso di ribellione (determinato forse dall’asfittica e costrittiva atmosfera familiare in cui era cresciuto), e la stessa ansia provocatoria che lo spinse sia a scelte anticonformiste (dalla conversione al cattolicesimo nel 1940, all’obiezione di coscienza durante la seconda guerra mondiale e alla lotta per i diritti civili che gli valsero mesi di carcere, ai tre tormentati matrimoni), sia a comportamenti autodistruttivi (l’alcolismo, e le frequenti crisi maniaco-depressive con relativi ricoveri in cliniche psichiatriche).
La raccolta “Il delfino e altre poesie” contiene liriche scritte tra il 1965 e il 1973, in anni che videro il poeta alle prese con scelte esistenziali e sentimentali molto sofferte: la fine, dopo vent’anni, del matrimonio con la seconda moglie (la scrittrice Elizabeth Hardwick, affettuosamente chiamata Lizzie), e l’allontanamento da lei e dalla figlia Harriet; l’incontro con Caroline Blackwood, soprannominata “delfino”, il trasferimento in Inghilterra e la nascita del secondogenito Sheridan. Avvenimenti tormentati da nevrosi, dubbi, incertezze, sensi di colpa, rancori familiari.
Lowell scelse di mettere a nudo la sua vita privata in una sequenza di sonetti molto espliciti, in cui raccontava episodi di vita quotidiana, litigi, brani di lettere altrui, soprusi e vendette personali, in un alternarsi di tenerezza e rabbia, ironia e pietà. L’opera gli attirò molte critiche da parte dei colleghi letterati, che lo accusarono di insensibilità ed esibizionismo, e di avere voluto sfruttare la sua vicenda personale per finalità editoriali e di successo.
I sonetti in questione, in quattordici versi sciolti, metricamente irregolari, spesso prosastici e discontinui formalmente, sembrano seguire un flusso frammentario di pensieri ed emozioni, con la volontà di registrare stati d’animo più che di creare un’opera d’arte. L’autore fa parlare la sua bambina, spaventata dai contrasti tra i genitori, senza inserire alcun diaframma stilistico («Non lo vediamo mai adesso, eccetto che a pranzo, / poi tu litighi, e lui va di sopra…»); oppure si rivolge alla moglie con i nomignoli più affettuosi o crudeli, in un sovrapporsi di sentimenti incontrollati
“Cara Pace dell’Anima; Mia Luce Celeste; agnello vestito da lupo; cerbiatta tremante e inflessibile; serpente, vespa, calabrone giallo…”
Consapevole di aver fatto soffrire, il poeta sembra voler aprirsi al lettore in una confessione catartica, quasi a implorare comprensione e perdono
“forse troppo ho tramato a cuor leggero con la mia vita, / senza evitare danno agli altri, / senza evitare danno a me stesso - / per chiedere compassione…”
La parte conclusiva del libro è dedicata al nuovo amore, alla voce giovane e provocatoria di Caroline, piena di gioia di vivere, che gli fa riscoprire l’amore fisico e sensuale, ironico e fantasioso:
“Mio Delfino, solo di sorpresa tu mi guidi…”, “Dopo i cinquanta così gran gioia è venuta, / che quasi non vorrei nascondere la mia nudità -, / il lustro e la rigidezza d’un vestito nuovo, la sensazione, / non del tutto lieta, di essere rinato”.
Tracciando una mappa esistenziale delle sue passioni, in un album familiare poetico e insieme impoetico, Robert Lowell volle consegnare al pubblico una testimonianza della condizione umana, più rilevante di qualsiasi scrittura:
“Deve aver pur fine il verso. / Però il mio cuore è fiero, so di aver allietato la mia vita / intrecciando, disfacendo una rete di corda incatramata…”.
Il delfino e altre poesie
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