Il giorno delle sirene
- Autore: Wilma Avanzato
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2024
Quel giorno del 1973, le sirene gli avevano detto “non andare, Antonino, non andare”, invece era andato e la sua vita di giovane antisistema era cambiata. Le sirene sue personali hanno cercato di avvisarlo, quelle che solo lui sente e che di solito lo spingono, però non aveva voluto ascoltarle. E ne aveva sentite altre, penetranti, avvicinarsi ogni momento di più, piombargli addosso. Una bella scoperta Antonino, protagonista duro e puro, fragile e scosso, cinico e ipersensibile, irriducibile e consumato dai rimorsi. Io narrante di un romanzo breve, molto intenso, Il giorno delle sirene (Graus Editore, Napoli, febbraio 2024, collana Gli specchi di Narciso, 80 pagine), della piemontese Wilma Avanzato, bella scoperta anche lei, motivatissima scrittrice di Chivasso.
Nata nel 1968, insegna nella scuola primaria da trent’anni. Ha coltivato la passione per i libri fin dall’adolescenza, con impegno e dedizione. Si è classificata prima in diversi concorsi letterari e ha tenuto seminari di scrittura creativa nelle Università della Terza Età.
Il 1973 è uno degli anni di piombo, tra la strage di piazza Fontana a Milano nel 1969 e quelle di Brescia e del treno Italicus nel 1974. Nel ’68 era divampata la contestazione giovanile, l’anno dopo il sindacalismo operaio aveva scatenato l’autunno caldo degli scioperi. Mentre la politica nazionale si divideva tra conservazione e dialogo, a qualcuno venne in mente di favorire una svolta autoritaria nel Paese, strumentalizzando gli opposti estremismi, con la strategia della tensione. I movimenti scolastici e liceali giovanili si radicalizzarono in gruppi armati, nacquero le Brigate Rosse da una parte e i Nuclei Armati Rivoluzionari dall’altra, con tutte le sigle minori della galassia terroristica di destra e di sinistra, in un Paese governato con tanti problemi dalla frastagliata ma egemone Democrazia Cristiana, schierato con il blocco occidentale nella guerra fredda Usa-Urss e controllato segretamente dalla struttura clandestina paramilitare Gladio.
Anni di piombo, di pallottole delle P38 e bombe fatte scoppiare per spingere l’opinione pubblica a pretendere o accettare un governo forte. Anni grigi, anzi in bianco e nero. Era un’Italia senza colori, soprattutto nel Nord, ovattato per mesi dalla nebbia e popolato da un’operosa classe operaia importata dal Mezzogiorno, forza lavoro per le aziende del triangolo industriale settentrionale e del boom economico dei primi anni Sessanta. Un Paese schiacciato dalle contraddizioni di uno sviluppo rapidissimo, che la società civile di allora stentava a elaborare, descritte perfettamente da Wilma Avanzato.
Nel Sud, i colori c’erano (il sole, il mare, la terra), però mancava il lavoro. Non bastava per tutti, come sempre dall’unità nazionale del 1861.
Anche la famiglia di Antonino era emigrata dal meridione in Piemonte. Aveva sette anni, ora è uno studente, condivide il progetto di un’intera generazione di mandare tutto sottosopra. È un’utopia, però ai giovani di tutto il mondo occidentale sembrava realizzabile “e soprattutto giusta” negli anni Settanta, per cambiare la società, svecchiare il costume e uscire da un’esistenza che all’improvviso appariva senza prospettive, troppo simile a quella di chi li aveva preceduti. Contestando le tradizioni sociali inamovibili casa-lavoro-chiesa, gli studenti occupavano scuole e università, rivendicando un’istruzione aperta a tutti, senza selezione di classe. Lo studio doveva diventare un diritto garantito dallo Stato, non un privilegio di pochi.
Forse, scrive Wilma, l’attentato nella banca di Milano, il 12 dicembre 1969, spazzò via la fiducia nel futuro che aveva caratterizzato gli anni del boom economico. Passando dagli “urlatori”, le mille bolle blu, le pinne, fucile e occhiali, nello spettacolo le “belle voci” melodiche stavano lasciando il posto alle canzoni impegnate dei cantautori. La gente comune soffriva e tirava avanti nelle grandi città industriali, tra l’illusione del progresso e la realtà dura della vita.
Antonino è un ragazzo del Sud, un figlio del mare trapiantato nella grigia, fredda e nebbiosa Torino. Il mare lì è “la Fabbrica”, ma non culla col mormorio delle onde, non mostra scogli dove cantano le Sirene, che tentarono Ulisse e che anche lui ha cominciato a sentire.
Mentre studia comodo a casa, il padre e gli altri operai si spezzano la schiena e tornano rabbiosi dalla fabbrica, imbruttiti nell’anima e nel fisico. Anche il fratello maggiore, che non capisce come certi colleghi riescano a frequentare una scuola serale. A cena, gli occhi gli si chiudono, il lavoro in catena di montaggio succhia le energie e la voglia di vivere: saldare sempre lo stesso pezzo del motore di un’auto, centinaia di volte al giorno. Somiglia a una punizione.
L’autrice denuncia con naturalezza i problemi di allora. Difficile trovare casa per i “terroni”, gente onesta, lavoratori costretti a pietire un alloggio dignitoso. Antonino e Giuseppe dormono in una cameretta più piccola di una cella. Per la sorella Assunta nemmeno quella, solo uno sgabuzzino. Niente istruzione per lei, finito l’obbligo, il padre la vuole negare alla figlia femmina. È andato a gridarlo platealmente a scuola. Burbero e irascibile, ha fatto una scenata.
Il giorno appresso, indossato il vestito della festa, la moglie ha avvicinato la professoressa, per chiedere scusa e anche per annunciare che Assunta continuerà gli studi, a tutti i costi, parola di madre.
La mamma muore all’improvviso, d’infarto, a soli quarantadue anni, a casa dei signori dove fa pulizie. Questo è un bel romanzo ma non ha pietà per i lettori, come non ne aveva quella società per i più deboli: i penultimi, non solo gli ultimi.
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