

Il giorno mangia la notte
- Autore: Silvia Bottani
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: SEM
- Anno di pubblicazione: 2020
Un romanzo a dir poco inquietante l’opera prima di Silvia Bottani, Il giorno mangia la notte (SEM, 2020), che attraverso tre personaggi ci racconta una Milano strana, triste, diversa e, dati i giorni che stiamo vivendo, più malinconica di sempre.
Giorgio è un cinquantenne alcolista, ingrassato, fallito. Il suo lavoro è andato malissimo, così come il suo matrimonio con Marina: ora è ridotto a stordirsi di aperitivi e slot machine, con cui consuma, perdendo, i pochi soldi che si è fatto prestare. Ha un figlio trentenne, Stefano, brillante giovane avvocato in uno studio milanese smart, che affianca all’attività professionale due passioni: la politica e la boxe. È infatti militante di destra, convinto che la città abbia bisogno di essere ripulita da tossici, extracomunitari e via elencando i contenuti estremisti e violenti, che Stefano sfoga in una palestra dove tira di boxe.
Nella stessa struttura si allena anche una milanese di origine marocchina, Naima, bella, sportiva, libera, maestra di sostegno in una scuola dell’infanzia, che vive con la madre Fadila in un condominio popolare. La donna fa la sarta, è perfettamente integrata nel quartiere. Sta tornando a casa alle dieci di sera, ma viene scippata violentemente della borsa e trascinata a terra: verrà investita e ridotta in coma da una grossa automobile che non l’ha vista.
L’autore della rapina è Giorgio, che trova nella borsa della donna appena cento euro e una catenina con la mano di Fatima, un oggetto simbolico per gli islamici. Ecco allora l’incrocio tra i personaggi intorno ai quali Bottani costruisce una sorta di complessa trama di identità contrastanti, che alla fine trovano una forma di sintesi, capace di testimoniare la vera natura di una società sempre più malata e frammentata.
La narrazione procede seguendo da vicino l’evoluzione dei diversi attori del racconto: Naima ha una vita sessuale spregiudicata, non disdegna un rapporto omosessuale con Giulia, ma è anche legata alla tradizione familiare, alla madre, al fratello Said. In palestra, durante gli allenamenti, viene avvicinata da Stefano, che si accompagna a Bufalo, un ragazzo di buona famiglia, è il figlio dell’avvocata presso cui Stefano fa il praticante.
Ci sono molti segreti, molti non detti fra queste persone, grandi diversità, molte idee che li oppongono. Naima è nera, Stefano è razzista, eppure per una strana alchimia i due si sentono attratti.
La storia si fa più complicata, intervengono altri fattori, politici, etici, sociologici, che rendono il romanzo una testimonianza amara e a tratti molto inquietante del mondo che stiamo vivendo, pieno di violenza, di indifferenza, di antagonismi potenti anche fra individui che vorrebbero perseguire gli stessi fanatici obiettivi.
La società multietnica di cui discutono i sociologi viene raccontata in questo romanzo con realismo: i rapporti di amicizia, quelli tra genitori e figli, tra capi e capetti politici, vengono osservati da un punto di vista originale e risultano molto intriganti: i luoghi comuni vengono spazzati via, la realtà viene raccontata con una lente attenta e priva di pregiudizi.
Il libro finisce per essere la storia di un’educazione politica e sentimentale, che vede al centro i giovani Naima e Stefano, dei quali viene descritta l’evoluzione, mentre Giorgio, Elena, i dirigenti politici, la generazione più anziana sembrano tagliati fuori dal vero interesse dalla scrittrice, come se volesse abbandonarli alla loro inconsistenza.
La Milano raccontata nel romanzo è una delle numerose pagine della narrativa contemporanea che ha smesso di osservare la sola capitale rutilante degli aperitivi, del design, della moda. Penso ai libri di Alessandro Robecchi, Jonathan Bazzi, Giorgio Fontana. Anche Silvia Bottani ci accompagna nel parco di Rogoredo, dove si accampano tossici disperati e spacciatori di eroina che vivono sulle loro vite distrutte; nei quartieri più periferici, nelle palestre, dove un ragazzo nero può essere massacrato da un capetto fascista; negli scantinati che ospitano tavoli da gioco illegali dove si perdono fortune; nel bar dove Marione ostenta il ritratto del Duce e serve da bere alle teste rasate che gridano “A noi” parlando per slogan.
“Milano era stata un laboratorio politico ma poi tutto era defluito come la marea, lasciandosi dietro i resti di quelli come lui [...]. Cinquantenni che restavano senza lavoro e non lo trovavano mai più, a un passo da una pensione irraggiungibile come un miraggio; c’era chi perdeva la casa per uno sfratto e finiva a dormire in macchina, o i vecchi che dovevano scegliere fra mangiare o comprare le medicine...”
Con un linguaggio pieno di locuzioni del parlato, turpiloquio e violenza verbale, ma anche una accurata ricerca dei tic linguistici di una società degradata, Silvia Bottani ci consegna un romanzo bello, profondo, ben costruito: non sapeva che il peggio per Milano doveva ancora arrivare.

Il giorno mangia la notte
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Una recensione ricca di sfumature e, a tratti, migliore dell’opera che descrive. Il romanzo - di buona fattura stilistica, anche se il linguaggio manca di un’unicità che lo renda distintivo - è strutturato attraverso una trama in moltissimi casi prevedibile: il lettore è un passo avanti rispetto a molti accadimenti, mentre dovrebbe essere l’esatto contrario. (L’unica eccezione è il disvelamento dell’orientamento sessuale di uno dei personaggi di contorno). La relazione amorosa, uno dei nodi centrali, la si può ipotizzare dai primissimi contatti.
Inoltre il furto iniziale, con la catenina rubata, non rientra bene nella psicologia del giocatore patologico: è un individuo che è già stato molteplici volte pesantemente stressato dalla rabbia e dall’assunzione di alcol e cocaina, ma non ha mai compiuto un’azione tanto stupida. Derubare una donna che appare povera, più povera di lui, appare un pretesto narrativo che - il lettore già lo immagina - innescherà una serie di conseguenze. Sarebbe bello se, almeno ogni tanto, gli scrittori utilizzassero un MacGuffin.