Il lago della morte
- Autore: Luca Girotto
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Anno di pubblicazione: 2016
Esplosioni, pallottole, schegge radenti, fumo, erano lo scenario abituale sui campi di battaglia del 14-18. Eppure, c’era un momento di silenzio, nelle azioni della guerra di trincea, che poteva essere altrettanto drammatico delle fasi concitate dei combattimenti. Era quello che seguiva il cannoneggiamento di preparazione dell’assalto e che precedeva l’assalto delle fanterie, esposte al tiro letale dei difensori. C’è una testimonianza straordinariamente efficace in apertura di un volume pubblicato dalle Edizioni DBS di Seren del Grappa, in occasione del centenario della battaglia di Monte Còlo, “Il lago della morte”, luglio 2016 (pp. 212, euro 15,00). L’autore è un medico ospedaliero cinquantenne, Luca Girotto, non nuovo a ricerche e pubblicazioni storiografiche di qualità.
Testimone di quella sinistra fase di sospensione, nella quale il silenzio risultava più inquietante del bombardamento tambureggiante, è l’allora podestà di Borgo Valsugana, Giuseppe D’Anna. Sua la prosa estremamente efficace: da un poggiolo si vedeva tutta la costa fino al Còlo, avvolta in una nebbia di fumo,
“d’un tratto il fuoco cessò quasi per intero come una specie di sosta. Il cuore cominciò a battermi forte avendo intuito che in quel momento le masse nemiche stavano per lanciarsi all’attacco. Pochi minuti, poi i primi colpi di fucile, qualche mitragliatrice cominciò a svegliarsi e il concerto andò pian piano aumentando fino ad essere in pochi minuti uno scroscio spaventoso di fucileria, un martellare rapido ed ansioso di mitragliatrici innumerevoli che andavano perdendosi su verso la vetta che era avvolta in una nebbia di fumo e di scoppi come il monte Sinai”.
È del resto la prima delle frequenti testimonianze che vivacizzano la ricostruzione tecnica e cronistica dell’episodio bellico, tratte dalle memorie di alcuni protagonisti.
La battaglia per Monte Còlo (15-16 maggio 1916), così puntualmente registrata da Luca Girotto, è anche un esempio di gran parte della condotta di quella guerra: tanti sforzi per niente. Questa volta a danno degli austroungarici, perché erano loro gli attaccanti d’occasione, nel quadro dell’offensiva della primavera 1916 nel Trentino, la Strafexpedition.
Sta di fatto che anche senza quello scontro sanguinoso, il primo conflitto mondiale non sarebbe cambiato di una virgola, ma quasi 850 sudditi dell’imperatore e oltre 60 italiani avrebbero avuto l’opportunità di uscire vivi dal conflitto.
Un’azione dimostrativa, insignificante per gli stessi comandi imperiali, si trasformò in un bagno di sangue per una serie di concause, che dopotutto ricorrevano nel contesto di attacchi frontali contro forti difese.
Un settore periferico. Un rilievo basso, sovrastato dal pur modesto Monte Cola. Un piano d’attacco austriaco con finalità limitate. Reparti italiani inesperti e da parte austriaca unità slave e romene di seconda e terza linea, abbigliate di scuro e perfettamente visibili sui pascoli ancora innevati in una notte di plenilunio. Una scaramuccia degenerata in un massacro inutile per contrapposizione di due “ostinazioni”. Da una parte, la determinazione di un generale italiano durissimo ma lucido, Andrea Graziani, deciso a conservare la posizione senza badare al costo in vite umane. Dall’altra, uno stato maggiore di alti ufficiali austriaci poco competenti e in completo disaccordo sulle finalità e modalità dell’attacco.
La difesa, del resto, era in netto vantaggio, protetta da ricoveri robusti e trincee ben sistemate, realizzate in modo da sostenersi a vicenda: camminamenti profondi, spalti di tiro protetti da sacchetti a terra, feritoie ad ampia visuale, postazioni ben mascherate e spesso coperte da tettoie di legno, due siepi successive di sbarramenti di filo spinato e spessi gabbioni di reticolato a chiusura di passaggi obbligati.
Il combattimento infuriò dalla sera del 15 all’alba del 16 maggio. Gli imperiali ripiegarono lasciando sul terreno un numero inatteso di caduti e feriti. L’insuccesso tattico si accompagnò al fallimento degli obiettivi dimostrativi: nemmeno un soldato venne distolto dai settori italiani adiacenti.
Il consuntivo finale fu raccapricciante per gli attaccanti, con la perdita complessiva di 873 uomini, tra ufficiali e truppa, senza un benché minimo risultato. Tra gli italiani, un rapido conteggio fece ammontare i caduti a 36 e i feriti a un totale di 198. Un’altra trentina di militari erano da considerare dispersi, probabilmente smembrati dalle esplosioni dei grossi calibri e catturati dal nemico negli avamposti nei quali era temporaneamente penetrato.
Altro aspetto costante in quel conflitto: la posizione venne ceduta poco più tardi, senza colpo ferire. Cinque giorni dopo, infatti, per gli sviluppi della possente offensiva austriaca sugli Altopiani, gli italiani saranno costretti ad abbandonare le posizioni fino ad allora difese tenacemente. E agli austriaci non resterà che constatare amaramente come
“una semplice attesa avrebbe potuto far risparmiare tante vite umane conseguendo ugualmente gli obiettivi”.
Il lago della morte. 15-16 maggio 1916. La battaglia per monte Colò
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