Il mar delle blatte e altri racconti
- Autore: Tommaso Landolfi
- Genere: Raccolte di racconti
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Adelphi
Il mar delle blatte di Tommaso Landolfi (Adelphi, 1997) è una raccolta di dodici racconti brevi, pubblicati per la prima volta in 550 copie nel 1939 per le Edizioni della Cometa di Roma.
Il titolo, come spesso accade, è quello del racconto eponimo più noto. È un libro di difficile classificazione riconducibile alle varie accezioni del fantastico, in bilico tra surreale, grottesco, onirico e un realismo magico più provocatorio e volutamente respingente che poetico.
Un genere, questo, condannato alla marginalità nel nostro Paese a parte l’esperienza dello scapigliato Carlo Dossi e di Massimo Bontempelli nel primo Novecento. Alcuni attribuiscono proprio a quest’ultimo la paternità della definizione “realismo magico”. Altri indicano il critico e fotografo Franz Roh, che l’avrebbe coniata nel 1925 in relazione al post espressionismo pittorico tedesco. Alla coppia Dossi-Bontempelli aggiungerei Goffredo Parise de Il Padrone, pubblicato nel 1964. Un romanzo dove grottesco, fumetto, clownerie, distopia, surreale e aberrazioni eugenetiche si sovrappongono in un insieme, a mio avviso, più strano che originale.
In merito alla letteratura straniera, il pensiero corre alle ghost stories di James, all’horror plumbeo di Poe, al fantastico ironico di Gogol, al realismo magico di Allende, Marquez e Murakami.
Avviciniamo la lente d’ingrandimento al racconto di Tommaso Landolfi che rappresenta un unicum in questa sintetica carrellata. L’insetto del titolo è una blatta orientalis Linnaeus, 1758, conosciuta come scarafaggio nero comune, lo stesso di Gregor Samsa. Rimarrete basiti, emotivamente coinvolti no.
La trama riportata tra il serio e il faceto
Il rientro a casa dell’avvocato quasi 60enne Coracaglina sembra di ordinaria normalità. Il passo svelto in un bel pomeriggio primaverile. Un’ombra di preoccupazione per il figlio senza arte né parte. Il desiderio di frugare con lo sguardo le belle ragazze che incrocia sul suo cammino. In questa cornice complessivamente realistica, malgrado l’indeterminatezza dei bordi spazio temporali, entra a gamba tesa il primo fatto surreale in sé e per la reazione che suscita nei diretti interessati: nessuna. A me gli occhi! L’avvocato intercetta all’uscita del barbiere il figlio Roberto con un’ampia ferita sanguinante sull’avambraccio. (Fatto che metterebbe in allarme anche il genitore meno ansioso e protettivo). Il giovane la mostra, fiero e sorridente, poi ne estrae con nonchalance alcuni oggetti tra cui spago, una specie di maccherone, pallini da caccia e un vermiciattolo azzurro e li consegna al padre. Kafka non ci insegna la normalità del fantastico? E che se al risveglio ci troviamo trasformati in uno scarafaggio, la nostra priorità – costi quel che costi - deve rimanere l’efficienza professionale? Gogol stesso invita a non farci troppe domande se dovessimo incontrare in giro il nostro naso, forse stanco di abitare il volto.
Senza un motivo dichiarato Roberto trascina il padre, che non fa un plissé, al porto dove si imbarcano, consegnano gli oggetti estratti dalla ferita ai marinai che ne prendono il nome. L’ultima passeggera, caricata a forza da due energumeni, è Lucrezia: giovane, discinta e voluttuosa. Il lettore ignora causa e meta del viaggio. A bordo Roberto e Lucrezia subiscono una straordinaria metamorfosi. Il primo diventa un pirata armato con piglio da dominatore, chiamato Alto Variago da ciurma e capitano. Variaghi o Vareghi è il nome dei vichinghi provenienti dall’attuale Svezia, conquistatori, mercanti, coloni. Il padre sembra piacevolmente sorpreso del figlio, che finalmente emana sicurezza e maschia attitudine al comando come probabilmente il genitore desidera da sempre.
Il seno della seconda comincia a stillare latte a fiotti. Perciò le vengono applicati in loco due serpenti per liberarla dal fastidio. La ragazza apprezza combattuta tra piacere e dolore. Intanto emerge una dinamica amorosa asimmetrica, perché Lucrezia non ricambia le attenzioni del neo pirata, tutta presa dal rivale in amore. Non è un muscoloso marinaio, bensì ... il vermiciattolo che, estratto dalla ferita, ricomparso dal risvolto dei pantaloni dell’avvocato dove si è nascosto, viene imprigionato da Variago sotto un bicchiere.
La nave, diretta alla volta del Mar degli Scarafaggi dove nessuno si è mai avventurato, fa scalo all’isola dei Forforiti che ne custodiscono l’ingresso misterioso. I selvaggi abitanti solo di sesso maschile hanno un imbarazzante problema al cuoio capelluto (non conoscono le proprietà terapeutiche dello shampoo medicato) lo stesso che affligge il nostro giovane e alle donne, lo insegna la pubblicità, la forfora ripugna. Hanno il capo coperto da pezzuole di tessuto.
A rendere la loro condizione ancora più disgraziatamente surreale c’è la cronica mancanza di femmine. La navigazione nel mare in tempesta riprende. Il verme propone a Roberto-Variago una sfida amorosa: il miglior amante ‘dal vivo’ avrà la ragazza. La performance del giovane lascia la ragazza totalmente indifferente. In compenso il verme si esibisce in un amplesso da casanova descritto con attenzione, vince la sfida, ma viene calpestato dal ragazzo arrabbiato nero che non ha intenzione di rispettare gli accordi. Scoppia un parapiglia: la ciurma in rivolta lo imprigiona di fronte al tradimento della parola data, le blatte invadono la nave uccidendo numerosi marinai.
Un cambio di scena ci porta nell’interno di un salotto borghese. Capiamo che Roberto Coracaglina sta leggendo un racconto a Lucrezia e al padre. La ragazza ricambia i suoi sentimenti, il padre è disposto a finanziare matrimonio e carriera letteraria del figlio.
Il lieto fine caramelloso e soprattutto esplicativo è in controtendenza rispetto al genere.
Una lettura psicanalitica
Il racconto potrebbe sublimare una fantasia erotica di sadica onnipotenza. Vediamo perché. Roberto è un amante rifiutato, timido, afflitto dalla forfora e dalla virilità insicura, che sogna di vendicarsi. Come? Riducendo l’avversario a verme. Infliggendo dolore alla ragazza, trasformandosi in cinico dominatore non più sottomesso al padre. Calvino definisce il racconto un “congegno esatto” perché il lieto fine ci permette di dargli un senso come fantasia erotica compensativa. Sembra l’unica lettura possibile di questa storia squinternata, cupa e volutamente respingente sotto il profilo emotivo. Pensate che un’ipotesi interpretativa affine, malgrado i distinguo, si attaglia a uno scrittore lontanissimo dal mondo di Landolfi: Francesco Petrarca. Avete presente le fantasie consolatorie in Chiare, fresche et dolci acquee nelle liriche chiamate "impressioni valchiusane" dal Carducci?
Dal libro al fumetto underground
Filippo Scózzari, fumettista, illustratore, grafico adattò a fumetto Il mar delle blatte. Dopo una vicenda editoriale incredibile da romanzo picaresco è stato di recente riproposto da Coconino Press in 38 tavole, con una postfazione del figlio Landolfo Landolfi.
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