Il mistero del collegio abbandonato
- Autore: Massimo Binarelli
- Genere: Gialli, Noir, Thriller
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Newton Compton
- Anno di pubblicazione: 2019
L’hanno trovata ar Convitto, ‘na mummia egiziana vera. Massimo Binarelli aveva scelto “Il convitto” come titolo del giallo inviato a concorso nell’ottava edizione del contest Ilmioesordio. Ha stupito la giuria per la qualità del romanzo, ha vinto e ha meritato la prevista pubblicazione per i tipi Newton Compton. Sono stati i curatori della casa editrice pariolina a trasformarlo nel più efficace “Il mistero del collegio abbandonato”, dando alle stampe a maggio l’opera prima dell’architetto romano settantacinquenne (124 pagine, 7.90 euro il volume 2.90 l’eBook).
La mummia, il cadavere, sembra effettivamente “roba vecchia”, sebbene non tanto da risalire all’antico Egitto. L’hanno trovato in fondo al pozzo del convitto dismesso. "Pare che sta chiuso in un sacco, ‘na specie", dice il barista all’ex brigadiere Piccillo, pensionato della Pubblica Sicurezza (siamo nel 1959, non è ancora Polizia di Stato), che raggiunge il posto con l’inseparabile Pepe. Non un agente, ma più di un collega: il suo bassotto.
Adagiato accanto al pozzo, c’è un fagotto di stracci, sporco di fango, rinvenuto durante lavori di trasformazione del vecchio edificio e tirato su dai sommozzatori. Il medico legale lo chiama “pacco”, perché la tela è legata con grosse corde marce, che disegnano la forma di un corpo umano. Verso la testa, la stoffa lacerata scopre una ciocca di capelli rossi.
È vecchio Antonio Piccirillo, come quel corpo. Gli torna in mente una denuncia di quando c’era la guerra, la scomparsa di una convittrice, Marta, una ragazzina con una folta chioma di capelli fulvi. Cercata, mai trovata.
Il ricordo lo riporta al maggio 1943, il conflitto era in corso, Mussolini al potere, il convitto delle orfane dei postelegrafonici funzionava alla grande, retto da una direttrice appena trentenne, ma efficiente e molto fascista, il che spiega un incarico delicato nonostante la giovane età. Altri requisiti le avevano consentito di risparmiare due decenni di gavetta: la tessera della Gioventù del Littorio, una non insormontabile moralità, la relazione con un gerarca e la fissazione del Duce di stupire il mondo con la nuova donna italiana.
Per il commissario Cavallo, più che un modello di autorevolezza femminile fascista è una “p…ana”, come tutte le donne - madre moglie e figlia escluse - e come quella ragazzetta sparita. Pure se adolescenti, a quelle basta vedere un paio di pantaloni per sciogliersi. Inutile per Piccillo ripetere che la rossa non aveva grilli per la testa, non faceva la civetta come le altre, non andava al varco nella recinzione a parlare coi maschi. Non aveva contatti con nessuno, nemmeno col paese. La vicina di letto bruttarella conferma: Marta non ha un ragazzo, si confida solo con lei, è tanto seria.
Se al commissario può bastare la versione di questa ragazza sgraziata, l’agente è convinto invece che sappia molto di più di quello che dice. Lo rivelano certi particolari, il corpo rigido, un vago tremore per mantenere l’autocontrollo.
Davvero una bella scoperta questo architetto neo scrittore settantacinquenne, che dipinge e s’intende d’arte contemporanea. Sembra dipinta anche la sua narrativa: periodi semplici, dialoghi brevi, spontanei, credibili, caratteri ben tratteggiati. Pennellate di mestiere poliziesco e saggezza popolare conducono i lettori prima nel 1959 del ritrovamento, poi nella Roma fascista della Seconda guerra mondiale. Un cocktail narrativo ben riuscito. C’è il mistero, il giallo, la psicologia dei personaggi. C’è sapore e colore di romanità, non a caso il quartiere dove sorge il collegio è la Garbatella, er core de Roma.
La motivazione della giuria del concorso di autopubblicazione insiste proprio sulle atmosfere, che riportano indietro nel tempo. I protagonisti funzionano, bassotto compreso, la storia regge, il mistero attrae, con tutta la serie di segreti, menzogne, verità negate e falsità spacciate per vere.
Tornando al romanzo, commissario e direttrice fanno lega contro Piccillo e lui da sottoposto ci deve stare, ma non la pensa affatto come loro. Non la vede come una piccola seduttrice. Quella non è scappata e non lo troveranno dopo la guerra in qualche casa di tolleranza. È andata diversamente.
Di certo, c’è un diario che Marta scriveva ed è nelle mani della compagna reticente. In un colloquio con la direttrice proprio non si intendono. Vaghe minacce reciproche, l’una lancia segnali all’altra, ma l’autorità ha la meglio sulla cocciutaggine: la giovane viene espulsa. L’accompagnano al treno, per tornare disperata al paesello, dove non aveva niente e da bene che non avrà niente.
In una stazione di passaggio, mentre attende sui binari la coincidenza, è spinta dalla folla e finisce sotto un treno militare. Il quaderno nero di Marta è l’unica cosa risparmiata delle ruote di ferro.
Sedici anni dopo, il commissario Trevi è di pessimo umore. La mummia gli ha rovinato le ferie ed oltre al corpo insaccato in un lenzuolo, non hanno niente: un convitto abbandonato da quasi vent’anni, un vecchio pozzo, un cadavere adagiato in una nicchia della cisterna, come se non si volesse farlo finire nell’acqua, sotto il fango. Al bar riconosce il brigadiere in pensione, si fa raccontare il caso dell’orfana roscetta sparita dal convitto.
Ora Piccillo e il bassotto possono riprendere con calma da dove Cavallo ha lasciato nel 1943. Hanno tutto il tempo e l’esperienza che servono.
Il mistero del collegio abbandonato
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