Il mondo. Scritti 1920-1965
- Autore: Irene Brin
- Genere: Filosofia e Sociologia
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2017
“Il Mondo. Scritti 1920-1965” (Atlantide Edizioni, 2017, a cura di Flavia Piccinni) raccoglie per la prima volta in un unico volume una scelta degli scritti firmati, tra il 1920 e il 1965, dalla giornalista di costume e scrittrice, viaggiatrice e mercante d’arte Irene Brin, all’anagrafe Maria Vittoria Rossi (Roma, 14 giugno 1911 - Bordighera, 31 maggio 1969).
“Chanel: Grandissima sarta, riabilitò il tessuto di maglia ed i gioielli. Nel suo appartamento dell’Albergo Ritz si circondò di paraventi Coromandel, di servizi d’oro massiccio, di occhiali-modello-unico, di bellissime manichine. Amica di Jean Cocteau, di Serge Lifar, delle principesse romane, immaginò vestiti come poemi, e poemi come vestiti, e profumi, e giochi e collane. Ora si dice che sia morta, che lavori in America, che abbia sposato un emigrato russo, e non lavori più, ma forse è sempre là, al Ritz, tra le sue meraviglie spogliate di ogni umano incanto, fantasma di mille eleganze perdute”.
Donna di grande intelligenza, raffinata eleganza e intuito finissimo, Maria Vittoria Rossi, con lo pseudonimo di Irene Brin, coniato per lei da Leo Longanesi, fu pioniera del giornalismo di cultura e ambasciatrice di stile. Brin scrisse sulle più importanti riviste dell’epoca, come Omnibus (1937-1939) e Il Borghese, dettando legge in fatto di stile su Harper’s Bazaar, e firmando con lo pseudonimo di Contessa Clara un celebre galateo italiano. L’autrice di “Olga a Belgrado” (edito per la prima volta da Vallecchi nel 1943) osservatrice attenta e acuta dei cambiamenti dell’Italia post bellica, in trentasette anni di appassionato e intenso lavoro ha saputo raccontare nei suoi numerosi articoli i mutamenti di costume di un paese sedotto dai modelli che provenivano dagli Stati Uniti d’America.
Con il padre generale di carriera e madre ebrea, austriaca di nascita, coltissima e poliglotta, Irene fu anche mercante d’arte e talent scout insieme al marito Gaspero del Corso nel 1946 con la Galleria d’Arte L’Obelisco di via Sistina. L’Obelisco in breve tempo assunse un’importanza primaria nel panorama culturale della Capitale, dove sarebbero passate tutte le avanguardie degli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento. Originale per i tempi di allora il particolare giornalismo che la cosmopolita Irene Brin seppe incarnare: caustico, acuto, brillante, leggero e profondo al tempo stesso, mai superficiale e soprattutto mai volgare.
“La brunetta piccante, con un colpo d’audacia, penetrò nel palchetto, posò i gomiti sul tavolino, incominciò a chiacchierare...”.
Per Flavia Piccinni la storia di Irene Brin
“non si può analizzare attraverso singoli momenti - alcuni dei quali si sono poi rivelati epici, come quando nascose quaranta disertori nella soffitta di casa - , ma lascia trasparire la sua essenza nel momento in cui acquista la complessità dell’insieme; esattamente come accade per un quadro, o per un romanzo a chiave”.
Infatti
“tutti gli episodi della vita di Irene Brin - dall’interminabile sequenza di pseudonimi, al primo incontro con il futuro marito all’Hotel Excelsior scandito da una serie di balli durante i quali parlarono di Proust, a quando Diana Vreeland la notò a Central Park abbigliata con un elegantissimo Fabiani e la trasformò nella prima corrispondente italiana per Harper’s Baazar - hanno un fondo mitologico, che suggerisce determinazione e incanto”.
Le pagine de “Il Mondo. Scritti 1920-1965” conducono il lettore nel mondo di Irene Brin, anzi nel mondo secondo Irene Brin, un mondo lontano eppure a noi vicinissimo, che affascina e colpisce.
“Tutti volevano essere belli: e si giudicavano tali dopo compiuto un dovere, quasi sociale, di agilità e di levigatezza. Vantavano i bagni, lo sport, la vita all’aria aperta, i pasti moderati, assicuravano che l’umanità cresce, ad ogni generazione, di moltissimi centimetri, che bisogna avere il culto della bellezza”.
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