Il paese mormora
- Autore: Emilio Martini
- Genere: Gialli, Noir, Thriller
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Corbaccio
- Anno di pubblicazione: 2020
Le sorelle Martignoni tornano in libreria, con un nuovo poliziesco: Il paese mormora (Corbaccio, 2020), un’altra indagine del commissario Gigi Bertè, firmata come sempre con l’alias Emilio Martini. Singolare, maschile, garanzia di pura qualità thrilleristica per gli appassionati del genere e della buona lettura, sembra una presenza perfetta in copertina alle signore milanesi del giallo all’italiana, al posto dei loro nomi, Elena e Michela.
Il vice questore aggiunto, tanto letterario quanto ispirato da un funzionario in carne e ossa, si è lasciato alle spalle solo da poco gli affanni di lavoro in Liguria, quando sente il bisogno di tacitare con una sigaretta l’ansia che lo ha travolto nel percorso verso una vacanza in Valcamonica.
Sulla strada per Montenorbo non ha resistito alla tentazione di telefonare al Commissariato. Come vanno le cose a Lungariva? Tutto bene, c’è solo quel tizio che si è barricato in un asilo con i bimbi di una classe, cacciando fuori le maestre. È incensurato, non sembra violento e secondo il sovrintendente Parodi non è nemmeno armato. Ma le informazioni ricevute dal primo dei suoi collaboratori non bastano a rassicurare Bertè.
A quello provvede la compagna Marzia, alle cui insistenze si deve la vacanza in montagna. Ascoltata la conversazione telefonica, si fa mettere in contatto col sequestratore (è suo cugino) e in poche battute lo convince a desistere. I bambini escono sorridenti: non ha torto un capello, li ha intrattenuti simpaticamente, divertendoli. È sotto esaurimento nervoso per un’adozione internazionale non andata in porto.
La cugina chiede clemenza, ma la Coscienza Bastarda che si annida in Bertè promette fuoco e fiamme in tribunale contro il disturbatore dei riposi difficili di un ansioso dirigente della Polizia di Stato.
Quattro ore di viaggio per arrivare in quel paese del cavolo sulle Prealpi lombarde, un navigatore che ti fa girare a vuoto e una stradina d’arrivo tanto stretta tra le case da costare un’atroce strisciata sul fianco dell’auto nuova. Maledizione!
Non basta, è tanta l’irritazione che nello scaricare i bagagli Bertè si prende una gran botta di cofano in testa. Sangue, incavolatura e smadonnamenti trattenuti a stento. Gigi è così, una pentola a pressione sempre sul punto di scoppiare. Quanto gli dà fastidio rivelare la sua goffagine. Si vergogna di mostrarsi a Marzia in modalità imbranato. Guarda l’auto e lo prende una rabbia! Cosa c’è venuto a fare in Valcamonica? Detesta la montagna. Se non fosse per i funghi, non avrebbe mosso un passo.
Un po’ di tenerezza con Marzia non guasta, però, ma c’è Parodi, sempre sfuggente, anche nella seconda telefonata di giornata a Lungariva. Che gli stia nascondendo qualcosa?
Montenorbo è un paese dominato dalla villa dei Griffi. È incantevole e allo stesso tempo ha qualcosa di tetro, inquietante, come la storia di quella famiglia importante che i compaesani raccontano un pezzo per volta a un sempre più incuriosito Bertè. Viene rimandato dagli uni alle altre, in una catena di incontri quasi tutti con persone di una certa età, ex giovani negli anni Settanta. È come se qualcuno volesse approfittare della competenza di uno specialista delle inchieste capitato lassù, mentre altri sembrano disturbati da chi arriva a ficcanasare.
C’è chi aggiunge particolari e chi li sottrae, nel raccontare della triste sorte dei fratelli Griffi. Dario, il maggiore ma non il più ben voluto in paese, è annegato negli anni Settanta nel lago della Fata, uno specchio d’acqua infido, gelido, dal quale mantenersi a debita distanza, come il 24enne sapeva benissimo. Eppure...
Dodici mesi dopo, Luca è finito fuori strada in una gara automobilistica, schiantandosi in una vigna e un anno appresso ancora è morto Piero, morso in Africa da un ragno. Prima di loro era deceduta la mamma, punta da una spina di rosa. Nessuno dei tragici eventi aveva meritato un’indagine.
Alla sequela di tragedie il cuore di papà Umberto aveva ceduto. Era un imprenditore rampante: intercettato un progetto di rilancio turistico di Montenorbo, aveva investito edificando brutte strutture di accoglienza di massa, veri mostri architettonici.
In tanti contestavano la devastazione del paesaggio e tra loro il sindaco, quello stesso Arici poi vittima di un incidente di caccia, in una battuta concordata per discutere sulla tutela ambientale. Uno dei cacciatori aveva lasciato partire un colpo, inciampando in un ramo. La rosata di pallini alle spalle proveniva dal fucile di Griffi. Fatalità?
E la disgrazia di Celeste? Era una radiosa 22enne, nel gruppo di studenti che trascorreva l’estate a Montenorbo: sei maschi, quattro ragazze, tra 20 e 28 anni. Sempre al bar insieme, tanto sport, lunghe passeggiate. Facevano parte della compagnia anche Dario, l’ombroso Luca e il fin troppo esuberante Piero.
Durante un’escursione a tremila metri, era scomparsa. L’avevano cercata, chiamata a gran voce, niente, fino all’urlo di Lucina. Giaceva in un crepaccio, ventri metri sotto. I soccorsi avevano fatto fatica a recuperare il corpo. Il dolore dei genitori era stato straziante.
Una caduta accidentale, una scivolata mentre cercava di strappare stelle alpine dal ciglio, ma un’amica, ora anziana, sostiene che Celeste amava troppo la natura per non lasciare al loro posto quegli splendidi fiori. Non era stata una disgrazia, ma un omicidio, di cui non aveva mai avuto le prove.
Il paese mormora: Le indagini del commissario Berté
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