

Il portiere di Ceaușescu. Helmut Duckadam, storia di un antieroe
- Autore: Guy Chiappaventi
- Genere: Storie vere
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2024
Nel 2026 saranno quarant’anni da quando non fuoriclasse strapagati ma operai romeni del pallone vinsero l’allora Coppa dei Campioni. Se lo “Steaua” di Bucarest è salito nel 1986 sul tetto dello sport in Europa, tanto ha fatto il suo numero uno, un gigante con i baffi da cosacco e i capelli lunghi arruffati, che in una notte da favola parò quattro rigori al Barcellona. Il giornalista romano Guy Chiappaventi ha reso l’ultimo difensore inviolabile il protagonista di una delle sue storie sportive intinte nella cronaca, raccontata in prima persona nel libro Il portiere di Ceaușescu. Helmut Duckadam, storia di un antieroe, pubblicato da Bibliotheka Edizioni (Roma, 2024, collana Formiche, 88 pagine), in prima edizione nello stesso dicembre in cui il sessantacinquenne ex paratutto ha cessato di vivere a Bucarest.
Era nato in Transilvania, il 1 aprile 1959, ma non voleva sentirla chiamare “terra di vampiri”, discendeva dagli svevi del Banato, regione della Romania, tra la Serbia e l’Ungheria, a lungo sotto la corona asburgica ed enclave di una popolazione d’etnia tedesca.
Aveva cominciato a giocare negli anni Settanta, con la squadra del suo paese, “Semlac”. Faceva il portiere per pigrizia, non gli andava di correre e poi era alto e grosso, ingombrava tutta la porta, fargli goal era difficile. Diventò un giocatore professionista nell’“Uta” di Arad, formazione salita fino alla prima divisione. La svolta arrivò con la chiamata della “Steaua”, la stella di Bucarest, squadra dell’esercito rumeno e soprattutto del presidente-ombra Valentin Ceaușescu, uno dei potenti e chiacchierati figli del conducator.
Il libro di Guy è un quadernetto condito di malinconia, il tratto distintivo del racconto di Helmut Duckadam. La sua vita e carriera calcistica irripetibile in meno di cento pagine, un colosso di un metro e 93 ristretto in un libretto 12x18 cm, piccolo nel formato ma ricco di notizie ed efficace nel tratteggiare la realtà ora lontana di un Paese povero, schiacciato da una dittatura comunista tutta miseria e Securitate, l’implacabile polizia politica.
La finale di Coppa dei Campioni si disputò a Siviglia, la notte del 7 maggio 1986. Nemmeno i supplementari scossero lo 0-0 iniziale. A quel punto, Duckadam sbarrò la porta ai rigoristi del Barcellona. Respinse quattro tiri dal dischetto, quattro reti evitate, come averne fatte altrettante nel decidere il risultato ai rigori. Il trofeo consegnato alla presenza del re di Spagna era in bella parte suo. Ad attenderli all’aeroporto della capitale, quindicimila romeni. Altrettanti lungo la strada verso la città. Il leader Ceaușescu li ricevette a Palazzo, freddamente. Dopo i complimenti di rito, non nascose un rimprovero: avrebbe preferito la vittoria nei tempi regolamentari.
Ricevettero un assegno di 1500 lei e una jeep dismessa dall’esercito. Le rivendettero tutti ai pastori, non sapendo dove trovare la benzina in una Romania povera di tutto, a tre anni dalla rivoluzione del 1989. Il regime comunista aveva immiserito la società. Un intellettuale romeno andava sostenendo in un’intervista alla stampa occidentale che la gente non s’impiccava perché non aveva una corda e non si bruciava in piazza perché mancavano i fiammiferi. Allo “Steaua” non avevano nemmeno le magliette per giocare. La luce artificiale per allenarsi era sostituita sul campo dai fari delle auto.
Duckadam, l’eroe di Siviglia, venne usato contro la dittatura. Nella partita per la Coppa intercontinentale in Giappone (avversario il River Plate) un altro figurò tra i pali. Si parlò molto di Helmut, lo si volle perseguitato dall’altro figlio di Ceaușescu, Nicu, e vittima della polizia politica. Ma non era vero, la ragione della sostituzione era un’altra.
Quello è stato ieri, oggi i baffi non c’erano più, i capelli diradati, i chili aumentati. Soffriva di diabete e colesterolo alto, assumeva ogni giorno da diciotto a ventidue pastiglie. Primo bypass nello stesso 1986, due anni più tardi un altro e così via, anche un paio di stent sull’arteria destra per rimuovere un coagulo di sangue. Viveva con una pensione statale da reduce, 10 mila lei al mese, più o meno 2 mila euro. I guanti della finale di Siviglia li aveva venduti a un collezionista romeno in Canada. È anche stato strumentalizzato come fake news di propaganda contro il regime di Ceaușescu, una balla che fece il giro del mondo. Ancora gli toccava spiegare che le cose erano andate “cosi e cosà”. Ha militato da comunista, poi anti-comunista ed eroe della rivolta del 1989, poi nazionalista. Ha provato a fare politica con un partitino di estrema destra, ultra-liberista, sovranista, di Gigi Becali, lo spregiudicato patron della “Steaua”, già pecoraio, importatore di abiti firmati e sigarette, immobiliarista rampante, tra gli uomini nuovi usciti dalla rivoluzione. Un pirata, che gli ha garantito però tanti quattrini.
È stato il portiere della “Bucarest Steaua” (non esiste più o, meglio, si chiama FCSB), ha parato quattro rigori su quattro al Barcellona in mondovisione, davanti a 60 mila spettatori e al re di Spagna.
Non lo aveva fatto nessuno prima e non l’ha più rifatto nessuno dopo. Sono stato l’incarnazione del Blocco comunista, il muro rosso, la saracinesca romena. Sono una leggenda del calcio. Sono Helmut Duckadam.
Guy Chiappaventi, inviato del tg La7, ha seguito la cronaca a Milano negli ultimi anni, dopo aver raccontato la suburra di Roma, la mafia, la ‘ndrangheta, due guerre in Medio Oriente, terremoti, tsunami e alluvioni. Vincitore del Premio Ilaria Alpi, del Goffredo Parise e del Premiolino, ha pubblicato sette libri, incrociando spesso il calcio con la cronaca. Il primo, Pistole e palloni - otto edizioni in quindici anni - sulla Lazio campione degli anni Settanta, ha ispirato la serie Sky “Grande e maledetta”.

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