Il quinto tempo
- Autore: Paolo Parrini
- Categoria: Poesia
- Anno di pubblicazione: 2023
Il quinto tempo di Paolo Parrini (Samuele editore, pp.92, 2023) con prefazione di Umberto Piersanti, è l’ultima silloge di questo poeta che sa rinnovare la lirica in tempi antilirici con estrema coscienza della propria unicità e individualità.
Stiamo perdendo il tocco lieve dell’ipersensibilità, il tremore di vivere senza paraventi, la massificazione della cultura non lascia spazio al singolo; la poesia lirica è l’antitesi di un tale degrado. Parrini non è certo ripiegato nel solipsismo ed è capace di far dono di sé, della propria interiorità, sapendo che non vi è dono più grande, tanto più che tocca temi universali riguardanti ciascuno: il tempo che scorre, la nostalgia, la memoria che preserva dell’oblio, lo sguardo gettato nel domani possibile, il presente colto nella sua essenza tangibile attraverso i sensi, la meditazione, la ricerca del trascendente:
Dio di speranza / di vicinanza e distanza. / Dio che invoco / a parlare con me / come a un amico. / Dio che si fa nebbia / Dio che ritorna sempre / Dio che mi manchi tanto / e che vorrei abbracciare. / Dio che ti vorrei accanto / qui nella macchina vuota / per farti guidare / a occhi chiusi / addormentando il tempo.
Lo fa con la pacatezza che costituisce la sua cifra espressiva, accesa da un fuoco sotterraneo che non si estingue.
Ma che cos’è il quinto tempo? Conosciamo il passato, il presente, ipotizziamo il futuro sperato; la quarta dimensione dove tempo e spazio, come in Leopardi, sono uniti in un continuum, è il quarto tempo onnicomprensivo. Così è per Parrini, con l’identica metafora leopardiana del mare:
Saremo goccia e mare / e mare e goccia / il perderci / in un immenso oceano.
Ma il quinto? Credo di poter individuare il quinto tempo nei bagliori intuitivi in cui Nietzschescopre l’eterno ritorno. Sono bagliori, "Lichtung" secondo Heidegger, presenti e ricorrenti anche nei versi raffinati e sottilmente trascendentali dell’artista, pur rimanendo "in re", dentro la cosa, anzi trascendentale appunto in tal senso:
Su una strada di fiori, / in mezzo alle giunchiglie / cammineremo per tornare. / Come un bel sogno di ragazzi puri, / senza cogliere i profumi, / lasciando indietro i sassi scoscesi / e le ferite. / A piedi scalzi senza più dolore / mentre la terra entra dentro le dita. / La terra da cui sempre nasciamo, / la terra rifugio e respiro profondo. / Poi un arcobaleno / a rammentarci il cielo.
L’eterno ritorno è più che memoria, è consapevolezza che in noi e nel mondo nulla passa, non trascorre, è qui. Con autocoscienza accresciuta.
Mille volte / siamo tornati a casa, / mille volte riperduti.
Ma:
Spegnendo la luce d’ogni notte / mi resta la preghiera e il ritornare, / la riva del tuo mare ch’è anche il mio, / il gelo trasformato in un sorriso.
Al riguardo si potrebbe parlare a lungo dell’ “akasha”, come lo chiamano gli orientali, il luogo invisibile dove tutto è registrato. Infatti il poeta parla della notte, quando si sogna e si vive altrove. L’inconscio è l’altro lato di noi, occulto.
Questa visione è una forma di eternità, concessa all’arte, sia essa poetica che figurativa. Memorabile la lirica di John Keats Ode su un’urna greca, dove le immagini fissano l’azione imperitura intarsiata; Keats comprende che la verità è bellezza e la bellezza è verità. Tanto può bastare per vivere e superare il dramma della morte.
Basta anche a Parrini.
Il poeta ha già vinto numerosi premi letterari, fra i quali il premio Giovanni Pascoli l’ora di Barga nel 2019, con il libro Quando cadranno i giorni.
I nostri giorni cadranno, non cadrà la poesia, il volo verso…
Il quinto tempo
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