Il riscatto di Dolly
- Autore: Antonio G. Sangineto
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2014
"La vita è appesa ai pensieri. Se sono fradici, si crolla".
E se invece i pensieri non fossero fradici, ma anzi, resistessero oltre il corpo, oltre la vita, oltre la morte, oltre l’anima stessa, e magari si trasmettessero di generazione in generazione?
Succederebbe che, magari, si crollerebbe ugualmente, ma lo schianto sarebbe pressoché sordo e attutito dalla morbida energia di una vita vissuta tenacemente, con coraggio e audacia.
Questo è, in sintesi, ciò che accade a Dolly, la protagonista indefessa dell’ultimo romanzo di Antonio G. Sangineto, "Il riscatto di Dolly" (Gruppo Albatros il Filo, 2014, pp. 183).
Tutti conosciamo la storia di Dolly, la pecora clonata nell’ormai lontano 1996, e Sangineto non manca di riproporre all’attenzione del pubblico la storia - documenti alla mano - di questo esemplare frutto dell’instancabile ingegno scientifico. Ma se pensate che "Il riscatto di Dolly" sia solo questo vi sbagliate, perché Dolly, qui, non è solo l’esemplare che è stato reso noto in tutto il mondo per la sua vicenda, ma è in primis metafora della globalizzazione e, al contempo, la prova provata che l’evoluzione - in barba a quanti pensano di poterla gestire - in realtà è qualcosa di incontrollabile.
"Ognuno è quello che pensa di essere, ma per gli altri siamo quello che facciamo. Ed io d’ora in poi voglio fare solo quello che mi suggerisce la Natura".
Questa è la ragionevole conclusione a cui giunge Dolly, catturata da quel gorgoglio di pensieri che spesso e volentieri si appropriano della sua mente molto più di quanto accada negli uomini. Dolly è una pecora che, come tutti gli altri animali presenti all’interno del romanzo - a partire dalla pecora Ketty, passando per gli agnellini Primo e Caruso, fino ad arrivare ai cani da guardia Flash e Back - non solo si addossa il peso di tutte quelle domande esistenziali a cui l’uomo fatica da sempre a dare (e darsi) una risposta, ma contiene intrinsecamente nel nome della propria specie la parola "anima". L’ANIMAle diventa, quindi, un essere non semplicemente al pari dell’uomo, ma addirittura superiore ad esso, mentre ne scopre i vizi, i rancori e le debolezze.
Dolly diviene, quindi, anche una metafora esistenziale, mentre si richiama continuamente all’ordine, temendo, ogni volta che è sopraffatta dall’istinto di ribellione ai soprusi di cui è spettatrice, di tradire quella che dovrebbe essere, per natura, la sua indole: la docilità. Le considerazioni della pecora spaziano da temi importanti come quelli sul senso della vita e sull’importanza che alle sue esperienze viene data, fino ad arrivare a riflessioni più spicciole ma non per questo meno pregnanti, anzi, puntando tutto sulla specificità del genere umano e di quello animale: come mai gli uomini, dotati di una presunta e naturale intelligenza, sono capaci non solo di servirsi degli animali, sfruttandoli e vessandoli, ma di sbarazzarsene nel modo più bieco e cinico, senza colpo ferire? E come mai sempre ed ancora gli uomini, essere superiori per verità dichiarata e mai realmente testata, riescono a riservare il medesimo trattamento anche ai loro stessi simili? Sangue del loro sangue, fatti della stessa carne, degli stessi sentimenti e degli stessi istinti?
Se Leopardi ne "La scommessa di Prometeo" - una tra le sue più celebri operette morali - aveva già lasciato che Momo e Prometeo si chiedessero perché mai i cosiddetti "uomini civilizzati" intraprendessero azioni di morte l’uno contro l’altro e, nel caso specifico dei selvaggi di Popaian (Colombia), come riuscissero a cibarsi delle carni dei propri simili, ora Sangineto rinnova la questione gettando sulla pecora Dolly queste inquietanti domande. Dolly non si dà pace al pensiero ricorrente del perché questi esseri umani, "dotati d’intelligenza che per lei doveva illuminare e nobilitare le coscienze", riuscissero in realtà a comportarsi come le peggiori specie della giungla, in maniera di gran lunga più terribile di quanto facessero gli animali con le altre specie presenti nella Terra.
Ma lo smacco morale arriva alla fine, puntuale e preciso, quando Dolly decide di istituire un Convegno con tutti gli animali presenti nel Regno Unito, per restituire il maltolto che avevano subito dagli uomini fino a quel momento. Scavalcando qualsiasi volontà orwelliana di portare su carta una nuova allegoria del totalitarismo sovietico ai tempi di Stalin (come ne "La fattoria degli animali"), Sangineto lascia che sia Flash, il cane "eroe" del romanzo, a dare il colpo di grazia all’esemplare umano: occorre una risoluzione in cui l’unica azione possibile è quella di restituire il maltolto, ma non per uccidere, bensì per scongiurare futuri maltrattamenti al genere animale e dimostrare che loro non sono bestie, ma animali, portatori ufficiali di "ANIMA".
"Quindi non dovevano agire indiscriminatamente contro tutti gli uomini, ma solo con quelli dai quali avevano subito vessazioni".
Perché loro, gli ANIMAli, non faranno mai di tutta l’erba un fascio, ed in barba a chi la Storia la studia e la insegna, loro l’hanno fatta propria, conservandone la memoria e il ricordo, soprattutto degli errori commessi.
Dolly, Flash, Primo e Caruso, gli animali molto più umani della specie che ne porta fiera il nome, si consumano, mentre armeggiano con le mansioni tipiche di pecore e cani, nel desiderio di riuscire non tanto a cambiare il mondo, quanto a renderlo più chiaro e limpido osservandolo da ogni punto di vista: il rapporto tra le specie animali e tra animali appartenenti alla medesima, si intreccia con il rapporto tra uomo e natura, tra uomo e animale e tra uomo e uomo. Se tutti gli uomini, come gli animali, seguissero le proprie inclinazioni e svolgessero con serenità il mestiere per cui si sentono portati, tutto si risolverebbe in un guadagno per loro stessi e anche per il regno animale, che non riesce a capacitarsi - Dolly in primis - del perché l’essere umano non usi in ogni circostanza l’intelligenza nelle proprie azioni, intelligenza che serve, diamine!, "per migliorare la qualità della vita". Ma forse, come amaramente giunge a pensare a Dolly, "quando gli ideali, i principi e i valori si banalizzano, perdono di significato e non si crede più a nulla": a tanto, oggi, sono arrivati gli uomini, che nel romanzo hanno il volto di William, il pastore burbero e arrabbiato col mondo, di Wilmut, il "padre" ingannatore di Dolly, di Ketty, la figlia del pastore e di sua madre, costretta a subire continui maltrattamenti da parte del marito.
Procedendo attraverso uno stile semplice e lineare, animato dalle dettagliate descrizioni della campagna scozzese e da quelle accortezze, tipiche del mondo cinematografico da cui Sangineto proviene, per cui sembra quasi di sentire il profumo di quell’erba fresca che Dolly e Caruso brucano nel bosco, la croccantezza dei passi della pecora mentre sale in cima alla vetta alla scoperta dell’ex eliporto militare, il romanzo di Antonio Sangineto abbandona dolcemente il lettore ad un confronto serrato con se stesso e con il genere umano da cui proviene. La spiazzante semplicità con cui Dolly e i suoi amici animali rivoltano l’abito scintillante che l’uomo è solito indossare, evidenziandone le pieghe, le cuciture mal fatte, gli strappi e le macchie, rasenta forse la banalità, la stessa banalità e ovvietà che costituiscono l’essenza di ogni cosa, la più difficile da raggiungere e da ammettere.
Un romanzo complesso nella sua estrema semplicità, coinvolgente e ammaliante, che trascina il lettore - o spettatore, chissà - senza che se ne renda conto, in un vortice mordace, fatto di riflessioni amare e a tratti pericolose.
Il riscatto di Dolly
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