Il volo dell’allodola
- Autore: Lucianna Argentino
- Categoria: Poesia
- Anno di pubblicazione: 2019
Conosciamo attraverso il mito, forse non esiste altra forma di conoscenza. La poesia più alta è mitopoiesi, è fare, poiein in greco, nel senso più autentico, poiché attraverso il mito si dà senso al mondo. Esso non è finzione ma autentica rappresentazione metaforica, scavo e ritrovamento di sé, bellezza e autocoscienza.
Rientra in questo filone, e ne possiede la potenza espressiva, il pregevole libro di Lucianna Argentino Il volo dell’allodola (Segno Edizioni, 2019, pp. 84), con prefazione di Gianni Maritati.
L’autrice rivisita tre episodi biblici: la tragedia di Caino e Abele dal testo veterotestamentario, l’incontro di Cristo con la Samaritana e con l’Emorroissa dal Nuovo Testamento. Fa precedere il racconto poetico da alcune considerazioni in prosa, riguardanti la filosofia morale che deve, o dovrebbe informare il nostro vivere, sorta dalla domanda cruciale posta da Dio ad Adamo ed Eva dopo che ebbero mangiato il frutto della conoscenza: "Dove siete?".
Infatti dove siamo tutti? Dove si trova la coscienza, dove l’intendimento, in ogni istante del cammino? Da tale risposta, scrive l’autrice, dipende il nostro costruire l’ecumene e il prendersi cura l’uno dell’altro, perché vivere è relazione.
Si tratta di un preambolo che dà l’indirizzo, la direzione ai versi che seguono. Versi stesi con lucidità veggente, oracolare, con andamento lirico e caldo, solennità religiosa e intelligenza del cuore. Se intelligenza significa "inter legere", leggere tra le cose, legare, trovare nessi segreti e portarli alla luce, Argentino lo fa egregiamente, riuscendo a farci emozionare e pensare.
Abel, il soffio, dialoga con la madre Eva, la vivente, e non può essere che così, poiché è sempre alla madre che tutti ricorriamo, matrice dell’essere, per il dialogo fondamentale. Siamo di fronte ad archetipi, resi evidenti dai nomi. Nei testi sacri, come in poesia, la parola è la cosa. Abel, soffio, evanescenza, diventa l’invisibile spirituale presenza in ogni cosa, identico a ruah, il soffio divino che anche Rilke individua nei suoi Sonetti a Orfeo. Canto, soffio, verso divengono sinonimi nel dichiararsi eterno di Abel, mai morto, lo spirito non può morire. Si configura come “anima del mondo” e anche Provvidenza. Scrive la poetessa:
"Caino avrà terra e discendenza nella carne, /ma io avrò la discendenza in spirito dei giusti / e degli innocenti. / Sarò colui che non spezza la canna infranta, / non spegne il lucignolo fumante; sarò dei miti e dei pazienti. / Sarò l’essere acerbo che di sé dice / l’imprecisa misura, senza traccia di gesso, / a occhio il taglio perfetto. / Sarò nella lingua del mammifero che lecca via la placenta / e nell’artiglio che la difende. / Sarò nell’occhio al microscopio e nella malattia sconfitta; / nell’equazione risolta; / nella lotta del poeta con la parola /e nel verso perfetto; nello sguardo del pittore; / nell’orecchio del musicista.”
Troviamo lo stesso soffio nel testo successivo, un vento leggero annunciatore, quando la Samaritana giunta al pozzo incontra il divino Sconosciuto che la restituisce a se stessa. Lei donna disprezzata come sterile e quindi inutile e vuota, secondo i pregiudizi del tempo, diviene piena di quella vita eterna di cui l’acqua è simbolo, e di cui l’amore (come anche Dante insegna) è sostanza:
"La sua voce in me si fece luce e illuminò la mia provata notte. / La bellezza di quell’istante mi denudò / come fa l’amore al suo approssimarsi.”
Segue la testimonianza dell’Emorroissa, guarita dell’emorragia solo per aver toccato con fede il tallit, l’abito del Salvatore. In questo monologo Argentino si interroga sul perché del dolore; attraverso il miracolo comprende, e noi con lei, che la sofferenza sta nell’aver perduto la consapevolezza dell’eternità. La sapienza ritrovata sana e restituisce l’integrità dell’Eden, nella pienezza d’amore:
"Di noi che diamo voce e corpo al tempo perché l’eternità / si faccia presente e scorra in noi – terra di latte e miele.”
“E, dunque, anche l’amore ricevuto farà leggero il nostro cuore, / sarà la bilancia su cui esso sarà pesato. / Perché se abbiamo fede e amore possiamo davvero
spostare le montagne del male.”
Tale stato è garantito dalle parole evangeliche, poste a chiusa del poema:
"Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”
Il verbo al futuro dà garanzia di durata. La Presenza annulla ogni solitudine, afferma il senso del vivere, dichiarato all’inizio del canto:
"In principio Dio desiderò un canto. / Dio creò e continua a creare il mondo perché desidera / sentir cantare. Vuole che il mondo canti, / che ciascuno trovi e intoni il proprio canto. / Ma Dio ama anche le stonature, le note sbagliate di noi
creature del parto / che è ferita e strappo, che è dono e ricamo”.
Esistiamo per la felicità edenica da ritrovare. Per i cristiani in Cristo, Logos e Misericordia.
Tutti i testi di questo volo celeste cantato tendono all’estasi, come Shelley e la sua allodola, citati in epigrafe. Ciò che è all’inizio è alla fine, nel cerchio sacro della poesia che per Lucianna Argentino sa essere tempio, il luogo interiore dove si compie la conversione, dal dolore e il male alla felicità che è bene supremo incorruttibile.
Il volo dell'allodola
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