In aperta clausura
- Autore: Stefano Zuccalà
- Categoria: Poesia
- Anno di pubblicazione: 2023
Stefano Zuccalà, è nato nel 1980 e vive in provincia di Lecce e non solo è scrittore e il poeta, ma scrive canzoni ed è molto vicino alla vita dei musicisti.
È entrato in questo millennio che aveva vent’anni e dunque ha avuto un’infanzia e una fanciullezza simile a chi è nato prima di lui, mentre ora la giovinezza e la maturità sono figlie di questo tempo nuovo, il tempo dei cellulari multitasking, dei social e del predominio di Internet.
Le sue poesie vengono definite “politiche” da chi ha scritto l’introduzione del libro In aperta clausura (Ronzani Editore, 2023), Paolo Donini, non solo per il contenuto ma perché:
Si tratta di una poesia prosastica, longitudinale, paratattica, allergica a principi metrici o rimici...(...)...una pratica di sperimentazione come disobbedienza formale e renitenza alla dissoluzione, all’adescamento dei retaggi tesi ovunque dalla bolla mediatica.
Dunque poesie politiche, perché scevre da intimismi narcisistici, dal bel verso, o poesie sentimentali che parlano d’amore, con frasi meravigliose in onore dell’amata. Sempre più la vera poesia assomiglia alla lingua parlata, piena di rabbia, di disillusioni, di un mondo che non si capisce, dove la politica è morta per eccesso di mediocrità, perché le sorti dell’uomo se le giocano un manipolo di persone geniali e ricchissime che vivono nella Silicon Valley.
Non è più tempo di sonetti d’amore, ma di poesie che schiumano rabbia.
Dov’è che siamo finiti. / Dov’è che finiremo. / Nella bocca del mostro, nella macina / di giorni senza tregua./ Dove le ore ci staccano / pezzi di polmoni. / Chi ha il coraggio di chiedere / resta con in faccia un sorriso / ghiacciato e gli occhi insanguinati. / Non è cambiato niente / Ci si prova, solo. / Ci si tenta. / Ecco un altro giro vorticoso di carte, ecco / di nuovo la follia del pretesto. / Preghiere , vecchi nomi. Nuovi nomi. / Piroette da barboni, cartelloni / pubblicitari tatuati sulla schiena. / Tutto è da mangiare / tutto è da evacuare. / Avanza nel miraggio questa ombra / che assicura il nostro corpo al riflesso / la mattina allo specchio.
Come è evidente, non è che sono saltati tutti i costrutti poetici, c’è impressa su carta una silloge di poesie che è un libro dove sono scritte poesie riconoscibili e non altro e scusate il gioco di parole.
Stefano Zuccalà non ha cambiato la forma poetica, chi da solo può rivoluzionare secoli di poesia senza essere ridicolo? E non è certo il dileggio che spaventa l’autore di questi versi, ma la sua sfida è nel significato.
Il marchio della poesia del nuovo millennio dovrebbe essere la Sgradevolezza. E un vuoto che dovrebbe avvicinare chi declama versi (chi può avere la sfacciataggine di "gridare" il proprio scritto poetico nella congestione stradale di automobili in città strapiene di persone? Un alienato o già un alieno, a scelta). Non c’è spiegazione che chi scrive possa dare nella pochezza del suo vocabolario.
Tanto vale citare alcuni versi dell’autore, rimasti indelebili:
Echeggiano vicine perturbanti ondate di problemi / e stronzate già sentite / cavilli di cervelli rivoluzionari per un quarto / d’ora di chiacchiera - in rete, nelle piazze, / nelle sale sempre piene. / Si moltiplicano sogni e copertine. / Si moltiplicano cellule di vuoto. / Viviamo all’accozzaglia, all’ammasso, non ancora appagati / di entusiasmi di riflesso / di speranze scorticate.
Come ha scritto Donini, che abbiamo già menzionato, c’è la rottura di un reale spirito comunitario. Le persone non si parlano più, ma replicano, si minacciano online una contro l’altra. Nel prosieguo di questa importante silloge si attenua la rabbia e aumenta la frustrazione. Solo raramente la scelta della sgradevolezza viene messa da parte e ci ritroviamo parole di tenerezza e eloquio elegiaco.
D’altra parte l’autore è ancora giovane e a ogni modo nessuno può essere arrabbiato per ventiquattro ore di fila. Per chi scrive, poi, sia internet che i social non sembrano un castigo divino. Dipende dalla quantità di pregiudizi che ci portiamo dietro se non riusciamo a vedere quanti modi di vivere, di pensare, di lavorare e di divertirsi ci restano tra le dita, dopotutto.
E in ogni caso la poesia non può essere accantonata, perché ci sintetizza in breve frasi, quello che di ostico troviamo in un manuale di sociologia, ad esempio. E per concludere con i dibattiti, a volte sterili, sulla necessità, forse, di cambiare letteratura vetusta da anni, studiata o solo letta da studenti dei licei e degli istituti tecnici per sostituirla con testi nuovi, pubblicati pochi anni fa, la poesia resta fuori da un dibattito privo di appeal.
La poesia contemporanea non ha nessuna intenzione di mettere da parte "maestri" di altri periodi, se non altro perché aggiunge e non leva nulla dei secoli precedenti.
Nessuno si azzarda a trovare “datati” gli scritti di Ungaretti, Montale, Manzoni e nemmeno di Vincenzo Monti. E poi Giacomo Leopardi, moderno sempre, inarrivabile, e nessuno vuole sostituirlo, men che meno Stefano Zuccalà con In aperta clausura.
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