Inventario di quel che resta dopo che la foresta brucia
- Autore: Michele Ruol
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2024
Una tragedia incombe, fin dalle prime righe, sulla testa di quattro personaggi: Madre, Padre, i loro due figli, Maggiore e Minore.
Nessun nome, perché tragedie come questa si abbattono identiche su ogni famiglia, solo certe ferite sanguinano allo stesso modo.
Il letto, la sedia davanti al computer contenevano ancora le loro forme: come se si fossero appena alzati.
Un incidente, lontano nel bosco, coinvolge Maggiore e Minore, oltre a una terza persona. Madre e Padre sono chiamati al compito impossibile di riattaccare i cocci del loro rapporto, che già prima dell’incidente, si capisce presto, stavano su insieme per miracolo. Un’impresa titanica anche in considerazione dello stigma che ora portano addosso, l’aver messo al mondo dei figli sciagurati.
Anche in un altro romanzo, La famiglia di Sara Mesa, i genitori non hanno un nome proprio, sono riconoscibili per la loro funzione.
Mesa intende così sottolineare che la loro storia è raccontata dal punto di vista dei figli, incapaci di riconoscere agli adulti una vita pregressa; la sussistenza, dietro le necessità che il vivere quotidiano impone ai grandi, dei sogni e dei desideri di due ex ragazzi, che in un tempo impossibile da immaginare sono stati a loro volta figli.
Qui, invece, Madre e Padre si alternano nella narrazione e la storia è interamente raccontata attraverso i loro occhi: diventare genitori è un atto che stravolge le loro vite, è come indossare un vestito che loro stessi non riescono più a togliere. Di fronte alla tragedia che distrugge la loro famiglia, reagiscono in maniera totalmente diversa. Madre, negando la realtà fattuale, attraversa il suo dolore, a costo della propria stessa vita; scoprirà che di dolore non si muore. Padre, al contrario, si sforza di condurre la vita come sempre, come se niente fosse accaduto; finché non inizierà a perdere il fuoco.
Nella personalissima elaborazione del lutto, Madre e Padre si ritrovano lontanissimi, sotto lo stesso tetto ma separati in tutto.
Ogni persona vive segregata nel proprio io, la separazione tra i protagonisti era già in atto, parole non dette, gesti mancati ad accumularsi come pietre nel greto di un fiume:
Madre era spaventata. Temeva di non provare quello che avrebbe dovuto.
Erano i pensieri della protagonista quando ha scoperto di essere incinta di Maggiore. Tutto il libro è impregnato di una sorta di religiosità dei piccoli gesti, atti quotidiani che celebrano una separazione, lo scioglimento di un vincolo che è reale solo quando si stacca anche l’ultimo legaccio, ma che fin dal principio è impossibile da arrestare. Eppure, in qualche modo la vita trova il modo di sopravvivere anche a un incendio.
Come il corbezzolo si avvantaggia dell’ambiente reso acido dalla devastazione delle fiamme per aumentare la propria fioritura, anche Madre e Padre scopriranno un modo per restare l’uno accanto all’altro.
“L’inventario” del titolo è una semplice lista di oggetti, contenuti, se non proprio intrappolati, nella casa di famiglia. A distanza di anni dai fatti, da semplici suppellettili domestiche diventano soggetti narrativi: «Sul lato opposto ci sono un tavolo allungabile, che non veniva mai aperto perché non c’era spazio, e una credenza a due ante». Ruol ci accompagna per mano alla scoperta di ogni stanza, ogni oggetto è coperto da un velo di polvere azzurra o da uno strato spesso di cenere scura. Ma basta sfregarli perché raccontino una porzione della storia, un pezzo dell’enorme puzzle che il lettore è chiamato a completare.
Ne La casa del mago, Emanuele Trevi associa agli oggetti un potere sciamanico, che si riversa nel presente e che condiziona il futuro, il gesto successivo. Qui ogni oggetto risponde coniugando verbi al passato, ogni frammento ci trasporta indietro o avanti nel flusso della narrazione, dove l’unica pietra miliare è costituita dall’incidente, lo spartiacque che separa il prima e il dopo. La struttura per brevi capitoli permette a Ruol di accelerare o rallentare a piacimento il tempo della narrazione, contribuisce a tenere alta la curiosità e la tensione durante la lettura.
È interessante anche l’uso dei simboli e delle potenzialità della pagina: i rientri a simulare una chat in un programma di messaggistica; le brevi annotazioni su una pagina altrimenti vuota, immagini che compaiono al di là del finestrino di un’auto in corsa.
Non è un libro che si può portare in spiaggia, che si può leggere tra mille distrazioni. Con questo non voglio dire che Inventario di quel che resta dopo che la foresta brucia sia una lettura impegnativa, tutt’altro.
La prosa di Ruol è piana e senza arzigogoli, non costringe mai a passare più di una volta sulla stessa frase. La lettura sedimenta una frase alla volta, la suddivisione per capitoli brevi invita a mettere una pausa ogni tanto.
È un libro da prendere con calma, in una giornata di pioggia, quando si è costretti in casa; o alla domenica pomeriggio, quando c’è da scacciare l’ansia del lunedì che si approssima.
Infine, una nota per il libro in sé, per l’oggetto fisico. Un libro è, nel bene e nel male, un prodotto che si propone a un mercato. Deve incuriosire fino al primo sguardo, offrire qualcosa in più, oltre che dei concorrenti, anche della versione economica digitale. Il volume, edito da TerraRossa Edizioni, è molto curato.
Il risvolto di copertina è accattivante, la parte grafica è funzionale al racconto. Il coraggio degli editori, che lavorano bene e pubblicano gli esordienti, va sempre lodato.
L’augurio, per noi lettori, è che Michele Ruol abbia presto un’altra storia, ben raccontata come questa, da affidarci.
Inventario di quel che resta dopo che la foresta brucia
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