Io ero l’Africa
- Autore: Roberta Lepri
- Casa editrice: Avagliano
- Anno di pubblicazione: 2013
Bianca, dal nome fortemente simbolico, scelto in modo imperioso da suo nonno, è una ragazzina curiosa e precoce, vive in Umbria in una grande casa; i suoi nonni Teo e Angela hanno vissuto molti anni in Somalia negli anni Cinquanta e dopo un lungo soggiorno sono rientrati in Italia.
E’ proprio il suo ossessivo chiedere che obbliga i due anziani a rispondere, facendo i conti con una realtà che è stata la parte più importante e drammatica della loro vita, che forse vorrebbero rimuovere o abbandonare all’oblio, ma che invece rispunta fuori con rinnovata potenza e che non può che essere finalmente processata.
Roberta Lepri con questo espediente narrativo prova a raccontare una dura storia vera, quella di una coppia di emigranti che ha cercato fortuna in colonia, spinta dalla miseria e dalla mancanza di prospettive, e che ha lasciato in Italia tre figli ancora giovani, per cercare fortuna nella terra vicino al fiume Giuba, coltivando banane e schiavizzando gli indigeni. Teo è un ex socialista che ha avuto un’infanzia difficile, con un padre dispotico che non l’ha mai amato e dal quale tenta di fuggire; ha incontrato una donna dalla pelle chiara e dagli occhi azzurri, anche se miopi, una “normanna”, che a lui, piccolo e scuro, si è concessa con facilità. Ha creduto di amarla, l’ha portata in casa anche se lei è stata subito oggetto di scherno e di invidia da parte delle cognate. Una famiglia patriarcale, violenta e ignorante dalla quale fuggire: questo l’antefatto che ha condotto i due in Somalia, abbandonando i tre figli in Umbria.
L’impatto con il continente sconosciuto sarà diversissimo per i due sposi: Teo cercherà di darsi forza con una virilità ritrovata nell’accostarsi alle giovani indigene, nel maltrattare i neri che presto giudicherà con tutto il repertorio dei pregiudizi razzisti (sono cattivi, infidi, puzzano, le loro donne sono tutte puttane), bevendo e cacciando, esercitando un potere dispotico quanto lo era stato quello dell’odiato padre; al contrario per Angela l’Africa sarà uno scoprire continuamente un’altra se stessa. Un guerriero che ne sorveglia l’incolumità, rigido, con una lancia sempre al fianco, Said, sarà una specie di specchio della sua coscienza rinnovata, fino a quando sarà proprio lui a salvarla da una carica di elefanti impazziti che rischiano di ucciderla. Fra i due coniugi si crea un solco sempre più profondo e, mentre Teo si imbarbarisce sempre di più soprattutto dopo il fallimento della sua impresa economica e la consapevolezza di aver perso l’affetto della “normanna”, che gli si mostra sempre più distante e assorta in una sua fantasia, Angela al contrario vive una nuova forma di sensibilità, una sensualità che la porta ad avvertire la presenza misteriosa di una natura immanente e potente, un rapporto con le donne indigene che pur se vietato dalle rigide convenzioni sembra allargarle l’orizzonte e la capacità di comprensione del reale. Solo l’arrivo del figlio diciassettenne Tito, che sarà coinvolto in un delitto nato dal contrasto feroce tra i pochi bianchi e i neri affamati, la risveglieranno dal suo sonno, le faranno percepire la gravità di una storia del postcolonialismo africano che si era rifiutata di fronteggiare, presa nel suo sogno “cattolico” di fratellanza paternalistica.
Roberta Lepri ci racconta l’Africa, la “sua Africa”, da un punto di vista originale, dove i drammi di una famiglia italiana, una bomba di contrasti e di odi pronta ad esplodere, si mescolano con quelli di un intero continente che da noi occidentali è stato sfruttato e deriso, fino agli esiti drammatici che tutti conosciamo dalla lettura quotidiana dei giornali che ci rimanda a violenze inaudite che continuano a perpetuarsi ai nostri giorni.
Le pagine di questo romanzo sono piene di poesia: i dialoghi delle giovani somale che vanno al fiume e guardano con curiosità la donna bianca, un’estranea dai movimenti incomprensibili, sono un modo inconsueto ed efficace per restituirci un punto di vista che non sempre è stato abbastanza verbalizzato, mentre il ritratto di Teo e degli altri bianchi (il cugino Aldo, la sua elegante moglie Sonia che cucina i cappelletti in brodo nel torrido Natale africano) sono più convenzionali.
La pagina conclusiva del libro ne spiega l’intero significato in modo efficace: alla domanda del marito, mentre stanno per lasciare definitivamente il continente, su chi sia veramente la moglie che aveva amato e perduto laggiù, Angela risponde dopo molte incertezze e dopo essersi guardata intorno per l’ultima volta in quella terra amata:
“Io ero l’Africa!”
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