L’Italia va alla guerra
- Autore: Andrea Santangelo
- Genere: Romanzi e saggi storici
- Categoria: Saggistica
- Casa editrice: Longanesi
- Anno di pubblicazione: 2017
Italiani, brava gente. Quanto ci piace sentircelo dire. Siamo esterofili, sempre pronti ad esaltare le virtù degli altri e disprezzare le nostre, ma ci fa piacere che ci riconoscano come un popolo mite. Ci consideriamo amanti della pace e la nostra Costituzione ripudia solennemente la guerra, che però c’è stata compagna di viaggio abituale fino al maggio 1945, tanto che dal 1800 a quell’anno, pur essendo solo il sesto Paese nella classifica dei partecipanti ai conflitti, l’Italia è al primo posto per la presenza della guerra nel proprio territorio. Lucidamente, lo storico militare Andrea Santangelo ci guida a smascherare il falso mito di un popolo pacifico, nel saggio “L’Italia va alla guerra”, pubblicato da Longanesi a settembre 2017 (pp. 190, euro 16,90), nella collana Nuovo Cammeo.
Quella nazionale è una storia di conflitti pressoché ininterrotta, dal neolitico alla fine della seconda guerra mondiale. Nati nel XXI secolo, i millennials lo ignorano, perché settantadue anni di pace hanno cancellato ricordi e paure, dal momento che gran parte della generazione che ha vissuto la tragedia del 1940-45 è fatalmente andata. I giovani, quindi, non hanno nemmeno una memoria indiretta di quanto la guerra abbia contribuito a costruire questo Paese e quanti danni soprattutto l’ultima abbia inferto al paesaggio, all’economia, alla gente.
Manca un bilancio generale, visto che si parla anche di tempi risalenti all’antichità, ma si può dire che poche aree geografiche possono competere con la nostra per il numero di guerre subite nel corso dei secoli. Friedrich Engels sosteneva che nessuno ha visto più battaglie del Belgio e della pianura Padana. Ma i suoi dati si fermavano alla metà del 1800. Da allora al 1945, le nazioni hanno combattuto molte guerre in giro,
“ma gli italiani, per loro sfortuna, le guerre se le sono ritrovate in casa. Da sempre”.
C’è una gran quantità di torri, rocche, castelli, fortezze e costruzioni militari a segnare il territorio nazionale. I toponimi bellici sono un’infinità, all’insaputa degli stessi abitanti dei luoghi. Nel retroterra di Rimini, a guardia del fiume Marecchia, a Torriana, esiste un castello medievale: Montebello. Non ci si faccia ingannare dall’affinità con l’aggettivo bello, il nome deriva dalla posizione strategica. Viene dal latino mons belli, il monte della guerra.
Del resto, è stata Roma antica, duemila anni fa e qualcosa, ad insegnare al mondo l’ars belli, ovvero come farla bene e vincerla: con un esercito di professionisti ben addestrato, rafforzato dall’arruolamento di combattenti di altre provenienze, attratti dalla prospettiva di diventare cittadini romani, servendo nelle legioni. Era un incentivo formidabile, per un italico prima e poi per un celta, un germano, un sarmata, un dacico, ecc., visti i vantaggi sociali, politici ed economici conferiti dalla cittadinanza.
Nessuno cercò di copiare l’ordinamento delle legioni, erano un’organizzazione troppo complessa, espressione inimitabile di un metodo e una mentalità militare superiori. Solo nel XVII e XVIII secolo, in diversi Stati si tornò a chiamare legione reparti particolarmente efficienti. Tuttora la Francia vanta la leggendaria Legion Etrangere.
Sempre l’Italia è stata alla base della rivoluzione bellica conseguente all’impiego delle armi da fuoco, che tanto hanno cambiato il modo di combattere, di attaccare e difendersi degli eserciti, a metà del secondo Millennio. Fu nel nostro territorio che si videro applicare massicciamente le nuove tecniche consentite dalla combustione della polvere da sparo, che proiettava piccoli e grandi oggetti a distanze sempre maggiori. E non furono eserciti di nazioni potenti ad aprire la via alla diffusione delle nuove armi, ma le piccole forze armate delle tante Signorie che nel Rinascimento dividevano politicamente e geograficamente la penisola.
La qualità degli armamenti è migliorata continuamente nel tempo. Oggi sta diventando sempre più sofisticata e sempre più indipendente dalla presenza diretta dell’uomo. Si pensi ai droni, tanto librati in volo, che terrestri e di recente anche marini e sottomarini. Ne ha guadagnato la precisione. Si è calcolato che nella prima guerra mondiale siano state sparate in media diecimila pallottole per ogni soldato colpito. Ora, nei raid dall’aria, ogni singolo proiettile ad alta tecnologia ha un’efficacia intorno al 90 per cento.
La guerra moderna, secondo gli analisti americani, si baserà su quattro presupposti:
- L’accresciuta precisione dei colpi;
- Una grande capacità di comando e controllo;
- L’acquisizione massiccia di informazioni belliche;
- Il risparmio di risorse umane (le vite dei propri combattenti).
Sarà la cosiddetta guerra tecnologica, digitale, network centrica quella che le forse armate italiane del futuro, non lontano, devono prepararsi ad affrontare.
Sarà così o, quantomeno, soprattutto così? Sappiamo solo, conclude Andrea Santangelo, che in futuro la guerra continuerà a segnare la vita dell’uomo.
L'Italia va alla guerra. Il falso mito di un popolo pacifico
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