L’angolo cieco di Paolo Del Colle

Paolo Del Colle sembra che si stia accomiatando dall’arte bellissima di poetare, per consunzione e sfinimento, e che di bello ci sia rimasto ben poco. Eppure queste lunghe poesie, che hanno all’interno anche elementi di prosa, sono tra le cose migliori che lo scrittore ha realizzato e, col titolo L’angolo cieco (Amos edizioni, 2025), Del Colle sembra essersi messo da solo in un cul de sac, in un vicolo cieco dove ritrova una forza rinnovata così forte che lo lascia sfinito, senza più voglia di appartenere alla schiera dei letterati.

Che fatica cercare un "vecchio" editore per chiedere una nuova pubblicazione, un nuovo libro, quasi controvoglia. La poesia contemporanea ha molti esponenti di spicco e le case editrici piccole non mancano, ma è una fatica impensabile convincere i lettori, anche quelli forti, a comprare un volume di poesia. Come già bastasse per alcuni apprezzare I canti del Leopardi, amati in secondo tempo, mentre alle scuole superiori erano un incubo, una promessa di infelicità.
Del Colle lo sa che le poesie sono maledettamente fuori concorso, in questo nuovo millennio che ciarla di algoritmi e di intelligenza artificiale, mentre per il resto, che sia poesia, saggi e romanzi c’è meno spazio e tolgono certezze alle cucce che sono diventate le nostre case. Anche il poeta, a un certo punto, scrive che se bussano, è meglio fare finta di non essere in casa. Il bar col caffè alle quattro del mattino per scacciare la voglia di dormire e frastornare la giornata, sperando che sia breve, fattibile, inadatta per andare avanti a fingere di vivere bene in un contesto sociale dove conta l’apparenza e la ricchezza. E poi il bisogno di stare con qualcuno, perché anche la solitudine non voluta è l’inferno in terra. Quando i corpi diventavano un solo corpo e c’era la possibilità di amare un’altra persona.
Congedarsi dai sentimento amorosi, forse anche quelli amicali, e lo spioncino della porta diventa il metro della nostra vigliaccheria. Cosa vuoi da me? Cosa vuole da me? Non posso più farcela a vivere come facevo prima. Ora l’insonnia prende il sopravvento e il "mio" bar notturno diventa l’unica forma di inclusione, un caffè ristretto e due chiacchiere col barista. E poi il congedo, tornare a casa con la consapevolezza di aspettare la stampa dell’ultimo libro. Non ce ne saranno altri.