L’ardito
- Autore: Roberto Roseano
- Genere: Storie vere
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2017
A vincere il 50° Premio Acqui Storia nel 2018 è stato un romanzo storico originale, lungamente meditato dall’autore e sentimentalmente dedicato al nonno, scomparso prima che Roberto Roseano potesse conoscere dalla voce anziana il racconto delle azioni di guerra. “L’Ardito”, apparso nel maggio 2017, per i tipi della Itinera Progetti (pp. 416, euro 22,00), è un libro che non sarebbe stato stampato se cento anni fa il sergente Pietro Roseano fosse finito a Redipuglia o in un altro cimitero militare nel Nord Est, perché il suo autore non avrebbe visto la luce se Pietro non avesse salvato la ghirba, scampando anche ad uno solo di quella miriade di piccoli ma micidiali protagonisti dei campi di battaglia della Grande Guerra. Un volume che deve tutto alla granata, al proiettile, alla scheggia di ferro che non colpirono il bersaglio umano, pur avendolo sfiorato. E a questi vanno aggiunti sassi e pietre banali, che pure mietevano vite, proiettati con violenza dovunque dalle esplosioni.
Pietro Roseano era l’ardito del titolo, udinese di Chiusaforte, classe 1896, di leva nel 1915 nella Brigata di fanteria Taro, zona di operazioni Trentino e Carso. Roberto Roseano è il pronipote, che dopo essersi dedicato per anni alla fotografia e al racconto per immagini ha sentito di dover omaggiare il bisnonno di un racconto scritto. Allo stesso tempo, ha voluto approfondire l’evento epocale che un secolo fa rese scomoda protagonista la terra natale sua e della famiglia, il Friuli. Si tratta della guerra mondiale ’15-’18, grande contenitore delle vicende di milioni di combattenti, in gran parte semplici fanti di radici contadine.
Conducendo un’indagine sul livello di conoscenza di episodi e circostanze di quell’enorme conflitto, si è accorto di quanto poco o niente si sappia, in genere, di un capitolo della storia che per la sua ampiezza coinvolse tutte le famiglie italiane. È tabula rasa, a parte pochi frammenti scollegati: Caporetto, Piave, trincee, filo spinato.
A sconfortarlo definitivamente, è stato l’esito di un veloce sondaggio tra i conoscenti sull’apporto bellico degli arditi. Nessuno era riuscito a rispondere, nemmeno a individuarli come specialità dell’esercito. È stato per questo che ha deciso di raccontare in un romanzo l’esperienza del nonno, tra i primi ad entrare nel corpo volontario degli arditi, in formazione proprio in Carnia, terra natale dei Roseano, compreso Pietro, un gran bel ragazzo (la foto è nel primo risvolto di copertina), lineamenti regolari, espressione spavalda, un combattente giovane, tosto e motivato.
Ha compiuto vent’anni il 1 dicembre 1916, si apprende subito nel romanzo, che si sviluppa in forma di memoria diretta del protagonista. A quella data è ancora in fanteria e nel maggio precedente ha combattuto con la sua unità sulla Zugna Torta e al Passo Buole, per fermare l’avanzata dei mucs dal Trentino. Mucs, caproni, così chiama gli austriaci (era la Strafexpedition). È stato terribile, ma ce l’hanno fatta, al costo di migliaia di morti, feriti e dispersi, tutti uomini che erano con lui. Molti nell’esercito tricolore vengono dal meridione, scrive Pietro. Soffrono terribilmente il freddo, perché dalle loro parti fa caldo anche d’inverno. Parlano dialetti difficili, a volte non comprendono gli ordini dati in italiano. Stenta a comunicare con loro. Per lui, carnico, è più facile capire il nemico, se viene dalle valli tirolesi a qualche chilometro da casa.
Si ha modo di apprendere non pochi accorgimenti adottato dai soldati, che difendendo una postazione conquistata cercavano di sparare innanzitutto con i fucili strappati al nemico, per economizzare le proprie munizioni. Si avverte la disperata stanchezza per una guerra lunga, feroce e che si spera finisca al più tardi la prossima primavera (1917, ma occorrerà arrivare al 4 novembre 1918).
Il nipote scrittore, Roberto Roseano, inserisce notizie sull’andamento del conflitto, facendo precedere i capitoli narrativi da sue considerazioni a decenni di distanza, davanti alla divisa e ai cimeli del nonno, scoperti in cantina. Di fatto racconta la sua infanzia e quella della sua generazione (ha 60 anni) in rapporto al passato bellico dell’Italia e dei propri nonni e genitori.
Dopo aver partecipato alla sanguinosa battaglia della Bainsizza, l’ora sergente Pietro accetta la proposta del Comando d’Armata che cerca volontari per nuovi reparti. Ci sono molti vantaggi: paga più alta, vitto migliore, licenze e nessun servizio di corvè in linea. Va bene, ma la fregatura dove sta? Ci si dovrà sottoporre a una preparazione molto dura, per essere impiegati in azioni pericolose che richiedono grande ardimento.
Gli arditi sono gente temeraria, sono pazzi. Perfino l’addestramento è esasperato e rischioso, con armi ed esplosivi veri, fioccano le ferite leggere, ci scappa anche il morto: chi si leva in piedi troppo presto sotto l’arco di tiro delle mitragliatrici.
Il resto è un ampio, sempre agevole e ben ritmato racconto delle azioni, col pugnale tra i denti, per lasciare le mani libere di lanciare petardi assordanti.
“Questo libro vuol ricordare quei soldati che più di altri rischiarono la vita per sconfiggere gli imperi centrali nel 1917-18”.
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