L’entomologo curioso
- Autore: Mario Lolli Ghetti
- Genere: Letteratura di viaggio
- Categoria: Narrativa Italiana
- Anno di pubblicazione: 2017
Conosco Mario Lolli Ghetti sin dalla nostra comune giovinezza, e di molte delle sue memorie di viaggi raccolte in questo volume ho sentito il racconto di prima mano, nel corso degli anni, con grande interesse e grande divertimento, data la proverbiale ironia e il senso della caricatura che contraddistinguono la personalità dell’autore.
Però scrivere è un’altra cosa, e scrivere di viaggi, una caratteristica peculiare che appartiene ad alcuni grandi narratori, è una forma letteraria codificata e molto frequentata da celebri scrittori. Ma questo libro così insolito, a partire dal titolo che stupisce, “L’entomologo curioso” - perché mai ricorrere ad un termine che si riferisce ad una scienza, la zoologia, così lontana dalle narrazioni alle quali ci troviamo di fronte? - dice molto della curiosità, la seconda parola del titolo, che avvicina Mario Lolli Ghetti ad un osservatore attento perché, come lui stesso afferma nella premessa,
“Come i collezionisti di farfalle e d’insetti raccolgo più esempi che posso, mai stanco d’osservare”.
Ecco dunque la ragione di questo libro che l’editore fiorentino Clichy ha appena curato e pubblicato, colpito evidentemente dalla ricchezza, dall’originalità, dalla grande cultura che emanano da ogni pagina dei racconti che ci accompagnano in giro per l’Italia, in parte dell’Europa mediterranea, nel Nord Est dell’Africa, nel Vicino Oriente, in Asia, in Sud America, in viaggi che l’autore ha compiuto nel corso degli anni per lavoro soprattutto, ma anche per piacere e per quella curiosità antropologica e culturale che restano la cifra più significativa della sua personalità. Architetto di Soprintendenza, ma anche archeologo e storico dell’arte, appassionato dei beni culturali e della loro conservazione, del restauro, collezionista di quadri, di sculture, di oggetti dell’artigianato, ma anche di volti, di modi di parlare, di vestire, di atteggiarsi, lettore onnivoro di narrativa e di saggistica, appassionato di cinema, tanti sono infatti i titoli di film e il nome di registi che compaiono nel testo, da Fellini e Pasolini, da Visconti a Billy Wilder; ma soprattutto grande cultore dell’amicizia.
Mario Lolli Ghetti ha trascorso gran parte della sua vita professionale al servizio dello Stato, consapevole dell’importanza della cultura della conoscenza e della conservazione del nostro patrimonio, ma in qualità di esperto e di profondo appassionato di ogni forma di arte, sin da giovane ha approfittato di tutte le possibili occasioni per raggiungere missioni all’estero dove era molto richiesta la competenza di tecnici italiani, architetti, restauratori, archeologi. Ecco allora un giovane Mario appena laureato e pieno di entusiasmo andare in Iran, oltre trenta anni fa, aggregarsi ad una missione dell’Ismeo presso la città di Isfahan, in quella che allora, sotto il regime dello Scià, si chiamava ancora Persia. Allora il Paese era in piena trasformazione, tanti i turisti, poche le donne velate, e agli esperti stranieri si davano grandi possibilità di intervento e collaborazione. In anni più recenti, il ritorno in quegli stessi luoghi, dopo che la Storia aveva modificato profondamente il Paese e gli abitanti, il ritorno nella città di Bam, con la sua fortezza in pieno deserto, che fu lo scenario del Deserto dei Tartari, il film di Valerio Zurlini tratto dal celebre romanzo di Buzzati, sarà alquanto deludente. Teheran piena di smog che non permette di vederla neppure dall’aereo, il terremoto che aveva distrutto la cittadella di Bam, e gli orrendi restauri che l’avevano trasformata in una
“specie di Disneyland del deserto, con le sue guglie da operetta e i suoi decori di marzapane”
insomma una profonda delusione. Altro ritorno in un luogo mitico, la Siria, che l’autore ci descrive in anni lontani, ci accompagna a Damasco, e di lì in una lontana località nel deserto, una fortezza edificata sul limes, il confine che i Romani e poi i Bizantini avevano posto come barriera contro i popoli predatori, dove nel convento di Mar Musa il padre gesuita Paolo tentava di restaurare quel luogo inospitale per trasformarlo in un centro di spiritualità condivisa. Purtroppo del padre Paolo si sono perse le tracce da oltre tre anni, scomparso nell’inferno siriano delle cui tragedie i giornali ci parlano quotidianamente. Lo stesso scrittore, in una delle pagine più commoventi del libro, non può che ricordare
“La dolcezza di quel viaggio incantato e mi pare impossibile che oggi tutto questo non esista più: ascolto alla televisione le notizie su Palmira e sento che la sua fortezza ottomana, che per noi era solo un comodo punto d’osservazione per la città antica che si stendeva ai nostri piedi, è diventata ora una posizione strategica da cui bombardare gli avversari”.
E ancora viaggi archeologici in Egitto, in fuga dallo straripante turismo di massa, alla ricerca di luoghi meno noti o affatto frequentati, come quello nell’oasi di Kharga, o una crociera in battello sul lago Nasser, formatosi ad Assuan in seguito alla edificazione della grande diga sul Nilo. Tuttavia, anche se Abu Simbel, punto di partenza della gita sul lago, luogo della celebre ricostruzione del tempio smontato e poi rimontato al sicuro dall’acqua, appare come un sito fondamentale per l’industria turistica internazionale, Mario Lolli Ghetti con acuto senso critico e con la nota competenza non può che commentare con il suo stile icastico le scelte di restauro alquanto discutibili:
“Insomma, l’impressione più forte, vedendo il tempio dal retro, è di trovarsi su un set cinematografico, con i suoi trucchi e le sue pur accurate ricostruzioni faraoniche. Cinecittà tra Nilo e deserto!”.
Non mancano nel libro impressioni italiane, frutto dei continui spostamenti che nel corso degli anni hanno caratterizzato il suo percorso professionale: Roma, Firenze e la Toscana, Ancona e le Marche: ecco una insolita serata romana a guardar le stelle dal tetto di una scuola alla Garbatella, ecco le descrizioni delle fatiche di usare il trasporto pubblico, autobus e treni. Imperdibile la descrizione del percorso del 52, che parte dai Parioli e raggiunge il centro, occasione per l’entomologo di osservare i mutamenti profondi che la società italiana sta subendo: al posto dei vecchi ammiragli in loden che volentieri cedevano il posto a signore dall’aria aristocratica con marcato accento meridionale, al posto di adolescenti rumorosi che frequentavano prestigiose scuole private di Piazza di Spagna, ora il 52 è divenuto un bus piccolo, con autisti nervosi che si credono ad una gara di cross, pieno zeppo di domestici di ogni etnia, soprattutto filippini, che si chiamano rivolgendosi tra loro con termini incomprensibili di cui si riesce a decifrare solo una parola: fermata, ripetuta come un mantra.
Interessante nell’analisi attenta di Mario Lolli Ghetti il paragone continuo fra come eravamo e come siamo diventati, partendo dall’osservazione delle moderne stazioni ferroviarie: Foligno, Ferrara, Spoleto, Fabriano, appare difficilissimo al viaggiatore attento e sensibile riconoscere che in quei luoghi nacquero la Madonna di Raffaello, la ricca civiltà della corte estense rinascimentale, il Festival dei Due Mondi, la preziosità dell’opera di Gentile da Fabriano, a giudicare dalla tristezza e dalla enorme bruttezza della attuali piccole stazioni, assediate dal traffico e dalla speculazione, mentre nei compagni di viaggio è difficile trovare
“qualche traccia di umanità o di un vago barlume di interesse per qualche cosa che vada al di là della lettura delle cronache sportive del lunedì o di un assopimento simil-mortuario”.
Ma oltre al tono serio del professore o del conservatore, lo stile di Mario non può che includere l’autore di celebri caricature, di cui tutti noi amici siamo stati vittime e divertiti complici; ecco allora la descrizione della popolazione armena, uomini e donne, giudicati brutti oltre ogni dire, peggiorati, soprattutto le donne, dall’uso di un abbigliamento omologato
“che impone alle sventurate, con pervicace sadismo, tutti i moderni costumi, dai pantacollant leopardati ai tessuti dorati, dalle borchie alle catene, dalle improbabili cotonature alle tinture casarecce”.
Vittima della sua feroce ironia la collega e amica che, pur se viaggiatrice instancabile, fu definita “Piccola squaw” per un suo mini abitino di camoscio con frange e stivali in pieno deserto egiziano, inadatto alla rigida morale islamica del luogo.
Alberghi, ristoranti, cibi, in Italia e nei lunghi viaggi sono raccontati con particolare cura: da Irma, la trattoria casalinga di Ancona, all’improbabile serata al Baron, il celebre albergo di charme di Aleppo: in realtà l’albergo non aveva più il ristorante, e in assoluta solitudine la compagnia dei raffinati viaggiatori occidentali aveva scorto dalle finestre
“una strana precessione di garzoni che, novelli Re Magi, portavano dalle vicine rosticcerie della strada, una quantità di piatti fumanti”
Nei testi raccolti nel libro è possibile rintracciare un uso raffinato delle lingua, nella quale si alternano diversi registri comunicativi e si fa un uso frequente delle figure retoriche più care alla nostra tradizione letteraria alta: mi riferisco all’anafora, la ripetizione di una o più parole; parlando della desolazione del lago Nasser in Egitto,
“Domina il vuoto: niente persone, niente mezzi di locomozione, niente vegetazione, niente case, villaggi o città e, ovviamente, niente inquinamento”
o alla similitudine a cui ricorre parlando degli amati marmi, ad esempio lo scuro Africano,
“nero come la pelle, rosa e rosso come le labbra, bianco come gli occhi, simile nei colori a quelli del viso di un moro”.
Notevole la perizia linguistica nell’uso degli aggettivi che contribuiscono alla sintesi dei concetti espressi,
“le carovane dei pellegrini e dei forzati di una cultura incompresa”.
Ma il fascino di questo libro così unico sta anche e soprattutto dalla grande umanità di cui è pervaso: tutti i viaggi raccontati sono pieni delle voci degli amici, delle persone più amate con cui Mario Lolli Ghetti mantiene un contatto e un’amicizia duratura e fedele: ecco allora Emilio, il compagno di una vita, la sorella Arpizia, dal nome caricaturale affibbiatole in anni lontani, la mamma esigente, il cognato avventuroso, i nipoti vivaci e simpatici, e i tantissimi amici che si riconosceranno nelle pagine del libro, compagni di un viaggio o compagni di una intera vita: per tutti una parola affettuosa, la consapevolezza del valore della condivisione di impressioni, esperienze, valutazioni, che arricchiscono a aiutano a capire meglio la complessità del nostro pianeta.
Nel libro sono presenti pagine che riproducono i bozzetti che Emilio Farina aveva presentato in una mostra bellissima nel 2013 a Firenze, al Gabinetto dei Disegni e delle Stampe: i colori vividi e brillanti di quel lavoro suggeriscono le mille pennellate, le sfumature, le allusioni le atmosfere riprodotte attraverso la memoria nei sedici racconti che compongono questa sorta di affresco narrativo.
L'entomologo curioso
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: L’entomologo curioso
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