L’ultima sosta
- Autore: Non disponibile
- Categoria: Narrativa Italiana
Niccolò Altini racconta alcuni dettagli della genesi del suo libro "L’ultima sosta".
Era agosto dell’anno scorso e io ero, come tutti gli anni, in vacanza in un piccolo paesino di montagna dove, nel migliore dei casi, dopo le dieci non vi è più niente da fare e tutti (villeggianti compresi) sono a letto nelle loro case. Mi trovavo con alcuni miei amici e ci annoiavamo a morte. Così, decidemmo di ubriacarci. Quel gesto, che normalmente sarebbe stata la classica leggerezza da giovani, quella sera si rivelò la mia fortuna.
Doveva essere circa mezzanotte quando, in preda ai fumi dell’alcool, decidemmo di salire per la via rocciosa che conduce al convento che sormonta il paese. Un amico lo perdemmo per strada, fiaccato dal troppo bere si adagiò contro un cassonetto e lì lo ritrovammo addormentato al ritorno. Io e altri due proseguimmo.
Sarebbe realmente superbo dire che era destino che quei fogli li ritrovassi io, ma la concatenazione di eventi che accadde quella notte quando, per sfidare le nostre paure, decidemmo di entrare nel cimitero, sembra voler dimostrare proprio questo. In ogni caso, ciò che accadde quando entrammo tra le lapidi lo descrivo esaustivamente nell’introduzione del libro, perciò qui è inutile dilungarsi. Ciò che posso dire è che quella sera, nel convento, trovai il manoscritto la cui trascrizione integrale è presente nel libro.
È un manoscritto antico, probabilmente risalente alla seconda metà del 1700 e senza firma. Nel leggerlo, ho potuto trovare molti dei motivi tipicamente romantici. Nei fogli che mi si sbriciolavano tra le mani tanto erano vecchi e mal conservati, un uomo raccontava a un’ombra la sua vita. Una vita solitaria, in mezzo alla natura, con pochissimi (ma significativi) contatti con altre persone. La storia di un viandante, accusato ingiustamente di un omicidio, che vaga per il mondo incontrando personaggi pittoreschi e crudeli.
Non so per certo il motivo, ma mentre mi dedicavo a decifrare ciò che era scritto (la grafia era tremante e piccolissima) avevo una perenne impressione che qualcuno, ormai dimenticato, fosse tornato dal passato per raccontarci la sua storia. Non posso giurare che questa storia sia vera, ma sicuramente è affascinante pensare che lo sia. È come se, ritrovando per puro caso questo manoscritto, leggendolo e pubblicandolo, avessi strappato dall’oblio la vita di un uomo che, per quanto non famoso o per nulla importante nella Storia, ha diritto come tutti gli altri a essere ricordato. Del resto, è risaputo, che quella di essere dimenticati, di non lasciare alcuna traccia nel mondo, è una delle paure più grandi dell’essere umano.
Questo non è il mio libro: sarei arrogante dicendo che lo sia, io ho scritto soltanto le prime pagine in cui spiego gli avvenimenti che hanno portato al ritrovamento del manoscritto. Il resto delle pagine è occupato dal manoscritto stesso, la storia di cui vi ho parlato, di cui è autore un uomo misterioso vissuto quasi trecento anni fa. Avrei voluto scoprirne il nome per citarlo sulla copertina, ma, come potete immaginare, è stata una ricerca che non ha condotto ad alcun risultato (ho setacciato il convento, la chiesa e la biblioteca locale nelle mie ricerche).
Siccome non è mia intenzione vendere centinaia di copie, dato che già pubblicando il manoscritto penso di aver compiuto il mio dovere, non voglio trascurare un dettaglio: è scritto in versi. Se da una parte questa è un’altissima dimostrazione di abilità poetica (i versi sono raggruppati in terzine endecasillabe a rime incatenate, esattamente come La Divina Commedia di Dante) dall’altra i versi rendono più lenta la lettura, almeno così è stato con me. Devo ammettere però che, rispetto alla Divina Commedia, questo manoscritto, probabilmente perché è più recente, usa un linguaggio chiaro e comprensibile anche a noi senza alcuno sforzo, tanto che in alcuni momenti non ci si accorge nemmeno di star leggendo dei versi. In ogni caso, le rime, il severo rispetto della metrica e tutte le figure retoriche fanno di questo testo un vero e proprio gioiello della nostra letteratura, una sorta di fratello minore di poemi come L’Orlando Furioso o la Gerusalemme Liberata. Superato (facilmente) “l’ostacolo” dei versi, ci si addentra in un mondo dai contorni esotici e misteriosi, nell’animo di un uomo tormentato ma allo stesso tempo in pace con ciò che lo circonda, in un viaggio denso di profumo del passato che restituirà al presente la memoria di un uomo ingiustamente dimenticato.
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