L’uomo che parlava alle statue. La storia di una famiglia, la storia di Trieste
- Autore: Roberto Weber
- Genere: Storie vere
- Categoria: Narrativa Italiana
- Casa editrice: Bottega Errante Edizioni
- Anno di pubblicazione: 2023
Di Trieste, la bella città amata quando ero una liceale nelle letture di Joyce e dell’amicizia con Svevo, della città che ha dato i natali a Bobi Bazlen; nelle pagine a lei dedicate da Claudio Magris; del suo destino voluto da Maria Teresa d’Austria che la rese la città mitteleuropea che oggi conosciamo; di una città inquieta e inquietante da cui è difficile staccarsi per la scrittrice poetessa Marina Torossi.
La sua storia e la storia di una famiglia è narrata ne L’uomo che parlava alle statue di Robert Weber.
Il racconto della famiglia Weber-Kosovel diventa metafora della storia del Novecento e dell’anima di un territorio di confine.
E come è stato scritto di recente, per capire l’Italia e la sua storia bisogna guardarla da Trieste. Roberto Weber, triestino, editorialista de Il Piccolo, ha raccolto in questo suo ultimo lavoro la storia della sua famiglia, di una famiglia spezzata per nessun avvenimento banale, trovandone le tracce e ricordando i racconti tramandati lungo l’intero secolo del Novecento. Una piccola curiosità è che l’autore lo ha scritto, come amava fare Magris, nell’accogliente storico Caffè San Marco, dove sono stata con mio figlio e da dove sono uscita con il suo libro tra le mani.
I triestini possiedono un pregio innato, nessuno sa riempire le piazze come loro, scrive il nostro autore, sempre pronti all’incontro con i grandi eventi della Storia.
Nella splendida capacità dei triestini di aderire ai tempi, Roberto Weber ricorda l’estate del 1914 quando la corazzata della regio Marina austriaca riportò indietro i corpi dell’arciduca Ferdinando e di sua moglie Sofia; quattro anni dopo nel novembre del 1918 l’arrivo dell’Audace e di Vittorio Emanuele II, il Re Soldato; nel 1938 davanti ad una piazza gremita all’inverosimile, Mussolini annunciò le leggi razziali; fino al 1954 quando Trieste ritornò italiana.
Noi quindi, quando si tratta di andare in piazza, ci siamo sempre
Come i suoi familiari mai mancati in nessuna di queste occasioni. Trieste conserva intatto il fascino del tempo, la sua identità di frontiera, e di un territorio ricco e multiculturale; il suo splendore mitteleuropeo è ancora intatto, come le storie dei triestini appartenenti a più culture.
Weber racconta la sua storia, orfano di padre quando era adolescente, dei suoi eroi da Rivera con la maglia azzurra ad Alì, da Gigi Riva ad Allende, o di quando era in una folla immensa e commossa ai funerali di Berlinguer.
Tornare indietro alla morte del padre cercando un lascito di foglietti, messaggi tra i libri ereditati in lingua tedesca, italiana e francese. Conoscere le sue abitudini, dalle letture al piacere di suonare il pianoforte, chiedendo del suo carattere o del tempo trascorso in guerra.
“ Non toccavo il passato immediato che intuivo, era piuttosto agro e carico di dolore. No, preferivo girare intorno alla vita prima, quella antica, agli anni che appartenevano solo a lui.”
Nella ricerca delle sue origini percorrerà tutto il Novecento, dallo scoppio della Grande Guerra al popolo degli irredenti, dal capitolo tragico della Risiera di San Sabba, l’unico campo di sterminio in Italia con forno crematorio usato dai tedeschi agli eventi tragici nelle foibe dell’esodo istriano. Una storia familiare forte e struggente, l’andare indietro nelle memorie per riportare alla luce i ricordi. Come quando ritrovando una foto in una vecchia scatola di biscotti riempita disordinatamente di istantanee, lasciando che quel disordine ereditato continuasse a nutrirsi di nuovo disordine, decide di continuare a cercare le tracce della propria famiglia.
La foto era del 1917, un frammento che conservava un suo misterioso e potente pulsare, aveva come immagine due bambini di carnagione chiara e occhi azzurrissimi, con sui berretti la scritta Tegetthoff: noi stiamo con e accanto all’Impero. Uno dei due bambini era suo padre Oskar con il fratello Gastone.
Indietro nel tempo al ricordo di Maria e della sua Maison Kosovel, figlia di Valentino Kosovel, sarta di successo e premiata per il suo atelier di alta moda femminile. Raffinata e di una bellezza mediterranea è in una vecchia foto con accanto il marito, Federico, nonno dell’autore, con i suoi baffi arricciati e il piccolo Danilo in braccio.
Anni più tardi, in un altro ritratto, Maria apparirà in tutta la sua cagionevole salute, è sfiorita con i capelli ingrigiti dal dolore della morte del suo piccolo e ultimo figlio a causa del tifo. E Federico abbandonerà l’Italia per non fare più ritorno a Trieste.
E poi nonna Luigia,“ un salto in avanti negli anni”, alta, vestita di nero, con i capelli raccolti in una crocchia alla sommità del capo, con la quinta elementare e un coraggio neanche a dirlo. Insieme alla famiglia, nel 1943, a Villa Irma ad attendere l’arrivo di Oskar.
Il clima che accompagnò il ritorno della città all’Italia, non ve lo posso descrivere, racconta il nostro autore; in ogni triestino nel cuore sono vive le proprie memorie e le memorie familiari.
A noi triestini il resto del mondo non ci ha mai intimorito, considerando che, nonostante la nostra giovane natura, il mondo ce l’abbiamo avuto in grembo.
Tra commozione e ironia ne L’uomo che parlava alle statue vi è la ricerca della propria identità, che definisce chi siamo e le nostre relazioni familiari, e la sua costruzione, facendo i conti con il passato, in armonia con la Storia con il sorriso e le proprie forze.
L’uomo che parlava alle statue. La storia di una famiglia, la storia di Trieste
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