La carne. Vita ordinaria ed epos
- Autore: Vladimir Narbut
- Categoria: Poesia
- Anno di pubblicazione: 2008
Vladimir Ivanovich Narbut è stato un poeta russo nato nel Governatorato di Černigov nel 1888. Si formò presso l’università di Pietroburgo e, ancora ventenne, riuscì a inserirsi negli ambienti culturali della città. Nel 1910 pubblicò Versi, la sua prima raccolta poetica, a cui fece seguito Alliluja (1912), la sua seconda antologia. Quest’ultimo volume gli costò un’accusa di pornografia che lo spinse a lasciare il paese alla volta dell’Abissinia. Seppur dovuto a gravi questioni di necessità, il viaggio gli permise di realizzare il sogno di visitare l’Africa, la terra che lo aveva sempre affascinato.
Già nel febbraio del 1913, grazie a un’amnistia, l’artista poté fare ritorno in Russia; successivamente, con lo scoppio della rivoluzione, si schierò con i bolscevichi.
Nel corso di quella cruenta guerra, la fattoria dei Narbut fu devastata da alcuni uomini dell’ “Armata Verde” (combattenti di varie estrazioni politiche avversi al bolscevismo) i quali torturarono Vladimir e uccisero suo fratello. Dopo queste atrocità, il poeta fu costretto a firmare una dichiarazione in cui giurava di ritirarsi dall’attivismo politico e scampò alla morte. Ciononostante, con la fine delle ostilità, egli fondò e diresse diverse riviste politiche, iniziando così un’importante carriera che lo condusse a ricoprire delle posizioni di rilievo all’interno del partito. Nel 1936, però, riemerse inaspettatamente un pamphlet del 1928 composto dall’esule Georgij Ivanov (1894-1958), che riportò a galla la faccenda del giuramento fatto ai verdi. Lo scandalo portò all’arresto di Narbut, che fu rinchiuso in un gulag a Kolyma, in Siberia orientale; il suo decesso fu registrato il 15 novembre 1944.
L’opera più famosa di Narbut è La carne. Vita ordinaria ed epos, edita nel 1920 e ripubblicata in un’edizione in lingua italiana nel 2008 dalla casa editrice Aracne, con un saggio introduttivo del traduttore Danilo Cavaion, professore ordinario di Lingua e Letteratura Russa all’Ateneo di Padova. Le poesie di Narbut vanno inserite nella crisi del Simbolismo, ma il suo stile presenta delle caratteristiche originali che non sono accostabili ad alcuna corrente della sua epoca.
Con “carne” l’autore non intende alludere al peccato e alla sessualità, bensì a un’allegoria dell’intera vita umana: un canto epico dell’esistenza quotidiana, «la carne ha per tutti un senso».
Nella poesia Tifo si possono rintracciare elementi autobiografici:
«Suvvia, pel Tibet andate,/ per l’Africa e la gelida luna,/ là dove non trovi né carte né rivoluzione».
In questo componimento è delineata dapprima l’immagine di una pulce che attacca una caserma di ignari soldati e poi la cruda storia di un dandy che finisce per essere divorato dai sorci. Il decadimento e la precarietà dell’esistenza incombono anche in Ritratto:
«Voi siete divota, severa e altera./ Non ricordo come (in tempi andati),/ da una casetta del centro al balcone/ un cenno gentile mi facevate?/ Confidente e stretta vi modulava/ la vestaglia di tela turchina./ Oh maggio! Ed ecco le tele leggere,/ ecco quei conversari alla finestra!/ Ma la morte occhiuta non sta in attesa!»
Michail Zenkevič (1886-1973) vide nei versi dell’amico Narbut il ricordo della Russia pre-rivoluzionaria, con i suoi piccoli proprietari terrieri, le donne che svolgono le mansioni domestiche e la semplice vita rurale. Queste impressioni si riconoscono soprattutto ne Il falegname, in cui è racchiusa l’anima tradizionale della Russia, rappresentata da un artigiano simile a un “apostolo calvo” che lavora a un astuccio ligneo che deve fare da custodia al vecchio evangelio.
Il defunto è il componimento più noto della raccolta; anch’esso legato alle tradizioni popolari, racconta di un cadavere che torna in vita comportandosi come se avesse concluso una normale giornata di lavoro, spaventando la moglie e il gatto, ma non la serva, abituata a considerare il mondo dei vivi e quello dei morti come un tutt’uno.
Ancora autobiografica è la conclusiva Abissinia, in cui il poeta rielabora l’esperienza africana, soffermandosi soprattutto sull’atmosfera fuori dal tempo che caratterizzava l’Etiopia prima della conquista italiana.
Nel nostro paese, ultimamente, il numero degli appassionati di letteratura russa sta aumentando, a costoro (e agli amanti della poesia) è consigliata la lettura di questo libro.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: La carne. Vita ordinaria ed epos
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