La città dei sapori. Itinerario storico gastronomico palermitano
- Autore: Giuseppe Alba
- Genere: Libri di cucina
- Categoria: Saggistica
- Anno di pubblicazione: 2021
È tutto da assaporare con gusto quest’ultimo volume di Giuseppe Alba, appassionato studioso delle tradizioni culinarie siciliane, già autore di diversi libri su storia e cultura della città di Palermo e in ultimo di un volume sui mercati storici di Palermo (cfr. Ballarò, Capo e Vucciria. Colori, odori e voci dei mercati storici di Palermo, Kalòs editore, 2016).
Si tratta di un libro riccamente illustrato che fornisce un’importante testimonianza del settore gastronomico e della storia e cultura della città di Palermo. Il sottotitolo di copertina può erroneamente fare pensare a un libro di ricette, o uno stradario per il cibo da strada da consigliare e consumare per le vie di Palermo. E non è nemmeno una guida sui locali caratteristici di Palermo dove si può mangiare al meglio. La città dei sapori (Edizioni Danaus, 2021) di Giuseppe Alba è un percorso storiografico, con un taglio antropologico, di quello che può essere l’origine del cibo e dell’alimentazione palermitana.
L’autore è un attento studioso che analizza con un impronta chiara e con una narrazione semplice e comprensibile a tutti, senza pretese di scientificità sviluppando quanto trattato con una sua linea cronologica. Giuseppe Alba è un appassionato studioso delle tradizioni popolari, impegnato nella valorizzazione del patrimonio culturale che comprende di certo anche l’arte culinaria.
La cucina siciliana, come è noto, è molto vasta e varia, per cui l’autore ha dovuto concentrare l’attenzione sul territorio di Palermo. I contenuti del libro si articolano in diversi capitoli che trattano in primis delle origini, di ciò di cui si nutrivano i primi abitanti del territorio palermitano per poi fare seguito con tutto un percorso storiografico relativo alle diverse influenze lasciate nella cucina e sui modi di consumare il cibo da parte dei vari dominatori che si sono succeduti nel tempo.
Si succedono capitoli dedicati al cibo di strada, alla cucina popolare di fantasia, alla cucina di festa e rituale che riportano tutto quello che si mangia in occasione di speciali ricorrenze o festività.
Abbiamo ancora i dolci e la pasticceria, la cucina e la pasticceria conventuale e a questo riguardo occorre ricordare come a Palermo, prima della soppressione degli ordini religiosi, vi erano attivi nella pasticceria conventuale circa trentasette monasteri. Una pasticceria che prima era dedicata solo ai parenti più stretti o ai prelati, medici che andavano a fare visita in Convento, e che successivamente si estese all’esterno. La cucina e pasticceria conventuale nasce come un’attività a complemento della vita monastica di clausura, per consentire un minimo di contatti con il mondo esterno da parte delle religiose. Sul libro vi è descritto una carrellata di tutta questa pasticceria con la descrizione delle origini dei vari tipi.
In Sicilia e a Palermo in particolare fu presente prima della cacciata del 1492 da parte dei re cattolici una comunità di religione ebraica, che abitava una zona centrale della città, che ha lasciato influenze della loro cucina Kosher.
Il periodo cosiddetto “arabo” ha lasciato notevoli tracce anche nel cibo oltre agli usi e costumi. Segue il periodo normanno-svevo, che influenzò anch’esso la cucina siciliana con particolari cibi provenienti dalle loro terre di origini
Si parla della cucina dei “Monsù”, che erano una sorte di cuochi di corte, dei cuochi “nobili” che differivano dai cosiddetti cuochi di “paglietta”. Il Monsù era uno chef, tant’è che era accolto nelle famiglie patrizie e aristocratiche, più del maggiordomo, e aveva un suo alloggio particolare sito tra le cucine e la sala da pranzo, così che i padroni di casa, quando volevano complimentarsi, lo facevano salire e lo applaudivano davanti agli altri ospiti.
La cucina dei Monsù è quella con cui si inizia a dare una sorte di raffinatezza alla cucina locale. Si pone particolare attenzione oltre che ai cibi, al modo di apparecchiare la tavola che si eredita dagli Spagnoli ma anche dai Francesi. Si inizia a adoperare delle stoviglie particolari, oltre che tra le altre le zuppiere, come pure si iniziano a usare le tovagliette di Fiandra dove poggiare le pietanze. Nel libro sono citati i più famosi tra questi Monsù, che prestavano servizio nelle case delle principali famiglie nobili e aristocratiche e che ebbero un allievo di eccezione: lo chef palermitano Paolo Cascino.
E ancora si passa alla cucina popolare di fantasia che è quella di fantasia, dell’invenzione dell’inganno o dell’autoinganno. Sono ricette di cucina molto povera che imitano quelle delle tavole dei ricchi che non si potevano quindi permettere.
I dolci e la pasticceria sono oggetto di un capitolo e accorerebbe una pubblicazione solo per questo. Tra i più famosi cibi dolci si parla della cassata, delle cui origini vi sono molte narrazioni. Quella che in ultimo perviene a noi è relativamente recente, risale al 1879 e fu un “invenzione“ dei Fratelli Gulì, pasticcieri palermitani in via Vittorio Emanuele, che erano i confetturieri ufficiali del Regno, specializzati in frutta candita. Parteciparono all’Esposizione universale di Vienna di fine Ottocento con la cassata decorata di canditi come la si vede adesso, arricchita appunto con i canditi, ma prima esisteva solo quella al forno.
Il vino e le taverne completano il viaggio gastronomico con l’indicazione di vari questi locali ormai del tutto scomparsi, ma che hanno dato addirittura il nome al quartiere per la loro fama.
Poi gli aromi, le spezie e il caffè. Gli aromi nella cucina palermitana sono stati un elemento molto diffuso e adoperato nei vari piatti, come il basilico, l’aglio, il prezzemolo, l’accia, che altro non è che il sedano. Ma vi era l’anice, che proviene dalla cucina araba, e in giro per la città vi erano gli acquaioli che vendevano acqua e zammù.
Il caffè a Palermo era molto diffuso con importanti industrie e nel libro vi sono riferimenti storiografici sull’importazione di questo prodotto e sul caffè come luogo di cultura e si ricordano i caffè letterari che nascono come luogo di conversazione.
L’ultimo capitolo ha un titolo particolare “Orrori da gustare”. È la parte più curiosa della cucina di Palermo, quella meno raffinata e popolare, come la rinomata “Frittola”, antesignana dello street food, il cibo di strada.
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