La condizione umana
- Autore: André Malraux
- Genere: Classici
Il titolo di questo libro possiede un’evocatività di rara forza intrinseca: sembra schiudere la promessa di una definizione, di una spiegazione esauriente di uno dei misteri più grandi, quello della condizione umana appunto. Il romanzo in questione, quasi superfluo sottolinearlo, è infatti quanto di più esistenzialista si possa immaginare, per umori, atmosfere, tensione interna, per i rapporti umani descritti.
Non si può leggere Malraux senza che affiori il ricordo di altre letture (Gide, Camus, Sartre) e una stagione lussureggiante della letteratura francese che divenne presto, a livello internazionale, una stagione dell’essere.
- Gide scopriva l’insostenibile gratuità dell’agire, narrando il primo delitto davvero superfluo della storia della letteratura;
- Camus si soffermava sull’alienazione dell’uomo moderno, condannato a uno straniamento perpetuo;
- Sartre sperimentava la nausea di trovarsi scagliati nel mondo, la vertigine dell’insensatezza quale cifra connotativa dell’universo.
I romanzi procedevano in quegli anni verso uno svuotamento progressivo, opponendo all’ansia onnivora di capolavori di infinito respiro, come “La Recherche” o l’”Ulisse”, un irrazionalismo estetizzante di diversa natura, consapevoli che le parole non sarebbero più state un argine al deflagrare dell’assurdo.
Malraux in questo orizzonte si pone ambiguamente come scrittore impegnato e pertanto controverso. Vita avventurosa la sua, quanto la sua prosa, qui coraggiosa nel descrivere dal di dentro la rivoluzione cinese, in tutte le sue aspirazioni negate, i suoi consumati tradimenti, le consapevolezze amare che andavano maturando nei suoi protagonisti, davanti all’inarrestabile metamorfosi della Storia. Come noto, la Storia è crudele, ma i suoi bilanci non si tirano che molto tempo dopo: ne “La condizione umana” (1933) seguiamo dunque le vicende di alcuni personaggi nel corso di una manciata di giorni cruciali.
L’anno è il 1927, la città Shanghai: che orientamento dare alla rivoluzione? Tradire le conquiste già realizzate in Cina da operai e contadini in armi schierandosi col fronte nazionalista o combattere quest’ultimo rischiando di far naufragare la riuscita stessa della rivolta? L’interrogativo politico diviene dramma morale, intimo, scelta privata: il valoroso attivista non trova alternative al delitto e finisce per perdere da terrorista, inutilmente, la vita; l’idealista russo si lascia uccidere dai nazionalisti, dopo aver donato la sua dose di salvifico cianuro ai compagni di prigionia.
Molte delle pagine di Malraux hanno gli stessi odori e gli stessi colori delle colonie descritte da Gide o Camus. Basti pensare a certi paesaggi, a certi notturni orientali. Strazianti al pari i suoi ritratti femminili, nel delinearsi di amori tormentati che aprono squarci sull’interiorità irrisolta dell’essere umano, su solitudini immedicabili, identità sofferenti. Alla giovane May spetta del resto l’ultima battuta del romanzo, benché sia Gisors il personaggio forse più moderno del libro.
Essendo volontariamente schiavo dell’oppio, Gisors rappresenta la condizione umana sedata. Una sorta di dolore smorzato, non per questo meno lungimirante, il suo: “Tutti gli uomini sono pazzi” penserà in una delle ultime pagine
“ma che cos’è un destino umano se non una vita di sforzi per unire questo pazzo e l’universo…?”
Così esistenzialista un testo del genere che l’ingiustizia della fame e dello sfruttamento, causa della rivendicazione comunista, non è certo denunciata come tratto emblematico della condizione umana.
Caratteristica ineluttabile dell’uomo è semmai l’incomunicabilità: si sentono gli altri con le orecchie, ma sentiamo noi stessi con la gola.
La condizione umana
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